"Noi pastori da nove generazioni tramandiamo tradizioni antiche"

Massimo Iori è l’ultimo rimasto a praticare ancora in Vallata la transumanza. Con il figlio produce formaggi a latte crudo

Sono tornate a casa, a Cascina di Spedaletto, le pecore massesi del pastore Iori, l’ultimo in Valbisenzio a praticare ancora la transumanza, l’antica tradizione di spostare le greggi nella stagione in cui il pascolo in alta quota diventa difficile, verso prati più verdi. "E’ un rito che si ripete ogni anno – spiega Massimo Iori, penultimo erede di un mestiere praticato da sempre nella sua famiglia – ma quest’anno la scelta di spostare parte del gregge a Montale è stato dettato anche dal rincaro del mangime, arrivato a prezzi stellari dopo l’inizio della guerra in Ucraina". Un piccolo spostamento, di circa 10 chilometri, per parte delle 300 pecore nere massesi e 9 bianche garfagnine che costituiscono l’allevamento che Iori gestisce nella Riserva Acquerino Cantagallo: il pascolo è costituito infatti dai campi che si affacciano sulla valle dell’Agna e dalle poche radure che offre ancora l’area protetta, dove i prati che una volta ospitavano il bestiame dei Guicciardini, sono adesso condivisi con cervi e felci. Penultimo erede, dicevamo, perché la nona e più recente generazione dedita alla pastorizia è rappresentata dal figlio Carlo, il 26enne che ha guidato il gregge verso Montale, dove la famiglia Iori ha parte dell’azienda, e poi in salita, di nuovo verso gli ampi prati sotto la Cascina, dove gli Iori gestiscono l’agriturismo adiacente al Centro Visite della Riserva.

Riserva che gli Iori hanno visto nascere e crescere, visto che i nonni di Carlo si erano stabiliti prima al cascinale de Le Barbe, nel 1954, e poi a Cascina di Spedaletto, grazie al rapporto lavorativo con i Guicciardini, proprietari dei due immobili. Gli Iori hanno mantenuto la tradizione del formaggio a latte crudo. "Siamo rimasti in pochi a farlo ancora così – spiega Iori – perché è molto più difficile: è un lavoro che richiede esperienza e maestria. Inoltre ogni forma è diversa dall’altra, cambia anche a seconda di quello che hanno mangiato le pecore. Ma vogliamo tramandare una tradizione che, con il farsi largo della tecnologia moderna, rischia di andare persa".

Claudia Iozzelli