ROBERTO BALDI
Cronaca

Nesi e la nostalgia del futuro tra ‘la sua gente’ "Prato ritrovi quella brama che la fece grande"

L’autore vincitore del Premio Strega nel 2011: "Non mi manca il passato, mi manca piuttosto quello che il passato prometteva"

La patina di ieri più che polvere, sembra cipria. Toglie le rughe, le increspature del tempo, leviga i confini. C’è un senso di eternità nelle immagini in bianco e nero con cui la storia ci tira per la giacca a ricordarci chi eravamo, chi siamo. Anche chi potevamo essere. Continuiamo oggi, con questa seconda puntata, il nostro viaggio nella Prato di ieri. Non è un semplice guardare indietro, troppo facile e forse anche non troppo utile. Le radici sostengono e nutrono. Buona lettura.

m.c.

di Roberto Baldi

Ha l’aspetto possente di Diego Abantantuono o del Mosè biblico che divideva le acque Edoardo Nesi, 57 anni, stazza atletica, barba copiosa, capigliatura fluente. Lo scopri invece alla tua portata, umanissimo e gradevole, con le sue certezze e i molti dubbi, lasciando che i venti di Prato, che nei suoi libri ha definito città del vento, lo investano liberamente. Il suo cruccio è la sua città, perché ‘Storia della mia gente’, il libro che gli ha fatto vincere il premio Strega del 2011, non è capitolo chiuso. Da intervistato diventa intervistatore, il viso un po’ stanco e scavato. "Tu come lo vedi il futuro di Prato?", m’interroga. ‘Dovremmo forse attivare la valutazione delle politiche pubbliche da parte di soggetti indipendenti come te’, gli dico all’impronta rubando quanto scrive l’amico Andrea Balestri, ex direttore di Prato futura nel libro ‘Tra Prato e Carrara’ edito in questi giorni.

"Condivido – mi risponde – La vita non è aspettare che passi la tempesta ma cercare di esorcizzarla, perché il sole sorge ogni giorno per scaldare il presente, purché si abbia la voglia di fare, evitando i paladini delle certezze, i puri della fede incrollabile. Siamo chiamati a un impegno comune. Costa fatica andare avanti da soli, combattere per raggiungere qualcosa che dovrebbe essere di ognuno di noi in una Prato che da cenerentola degli stracci è diventata distretto tessile riconosciuto a livello europeo".

Oltre che scrittore e regista, hai sperimentato anche il ruolo di parlamentare. Com’è stata quell’esperienza?

"Non ha inciso minimamente. Non è quello il mio articolo, come si dice a Prato nel mondo dei tessuti. Il mio ruolo è qui fra la mia gente, con i miei libri che ho cominciato a scrivere rubando tempo al lavoro di fabbrica che per me era diventato un castigo".

Qualche rimprovero da parte dei familiari per il passaggio da imprenditore alle biblioteche?

"Hanno sempre rispettato la mia libertà di agire. Ho qui impressi all’interno del braccio sinistro due tatuaggi con il nome di mio padre e di mia madre che mi sono sempre stati luce e guida".

Un po’ di nostalgia dei tempi andati, in cui ci si poteva sentire padroni del proprio futuro?

"Non mi manca il passato, nemmeno quello che mi raccontava mio padre quando in ogni fondo c’era un telaio e gli operai lavoravano a stretto contatto col padrone (così si chiamava allora), che li conosceva uno per uno e li chiamava col nome o soprannome. A me manca il futuro che quel passato prometteva, mi manca poter vivere come pensavo da piccolo, quando le persone dal Sud si trasferivano a Prato in cerca di lavoro e trovavano i soldi per comprarsi una casa, una macchina con il benessere collettivo che cresceva. Per noi imprenditori lavorare nel tessile significava vendere il tessuto a Ralph Lauren o ad Armani, poi andavi a New York o a Londra e nei loro negozi vedevi la camicia fatta con il tuo cotone, il cappotto con la tua lana. Ti sentivi parte di una catena di eccellenze famosa in tutto il mondo, di quel discorso antico e ormai finito del made in Italy. E l’imprenditore senza arte né parte, senza cultura che non sapeva fare l’o col bicchiere e che a parlargli di cultura ricordavano Goering ("quando sento parlare di cultura mi metto la pistola alla tempia") capace di creare dal nulla aziende di richiamo nazionale"

Due ore trascorse insieme come un batter di ciglia, perché Edoardo ti avvince in quel suo frugare insieme il futuro. Ci avviamo al parcheggio del Tennis Club via Firenze, dove il diligentissimo direttore Massimo Bardazzi mi ha preannunciato garbatamente un biglietto sotto il tergicristallo della macchina con su scritto ‘lasciare la macchina negli spazi adeguati’, perché nella fretta l’ho messa a sghimbescio e perché un po’ d’imprecisione risparmia tonnellate di spiegazioni. "Un circolo curato e lindo in tutti i suoi tratti, di cui diventai socio onorario dopo il premio Strega (a qualcosa serve anche la cultura..) – continua Edoardo – e che rappresenta la voglia di migliorarsi di quei bei tempi quando un gruppo d’imprenditori si riuniva per comprare e ristrutturare una villa per alleggerire le giornate lavorative. Bisogna recuperare quella brama". Sarà materia forse per un nuovo libro che Edoardo sta scrivendo al mattino e che corregge nel pomeriggio. Come la tela di Penelope. Impolitico, poliedrico, complesso. Lo abbracciano in tanti. Un uomo di successo, ma soprattutto un uomo di valore. Non sono gli anni nella tua vita che contano. È la vita nei tuoi anni, diceva

Abraham Lincoln.