REDAZIONE PRATO

Nella fabbrica dove si lavora 300 ore al mese

Sciopero dei Si Cobas alla Top Line: "Operai sfruttati e pagati 4 euro l’ora dai titolari italiani". Ma la proprietà si rifiuta di parlare

Mostrano le buste paga da 700 e 800 euro, dicono che non sono in regola, raccontano di lavorare più di 300 ore al mese. Protestano, gridano, agitano bandiere: sono gli operai della Top Line, l’azienda tessile a conduzione italiana finita nel mirino dei Cobas che ieri mattina hanno aperto l’ennesimo fronte - mentre resta aperto quello con la proprietà della tintoria Texprint - per chiedere il rispetto dei diritti dei lavoratori e denunciare lo sfruttamento che, a detta dei lavoratori, avverrebbe anche all’interno dell’azienda incastonata nel Macrolotto e specializzata nella finitura dei capi. Quello che cambia rispetto alle battaglie del passato è l’interlocutore: finora le aziende accusate dal sindacato e dai lavoratori di sfruttare gli operai facendoli lavorare per 12 ore ininterrottamente sette giorni su sette, sono sempre state a gestione straniera e in particolare cinese. Nel caso della Top Line si tratta di una società gestita da italiani che al momento, nonostante svariati tentativi, non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione. "Non vogliono dire niente, ci penseranno loro", è l’unica dichiarazione rilasciata ieri mattina mentre fuori era in corso lo sciopero dei lavoratori, da un dipendente italiano dell’azienda che è sempre rimasto dietro al cancello chiuso dell’azienda di via Ettore Strobino.

"Ogni sei mesi la società cambia nome, ora si chiama Top line pochi mesi fa si chiamava in un altro modo", raccontano gli operai che indossano tutti le divise con stampato il logo del ’Gruppo Diddi’, noto nel panorama imprenditoriale pratese. "Lavoro 15 ore al giorno, sono stanco. Mi pagano 4 euro l’ora, ho moglie e un bambino che non conosco perché esco la mattina alle 6 e torno la sera quando lui dorme", Ola ha 37 anni è nigeriano e porta avanti la protesta insieme ad altri 20 lavoratori alcuni connazionali mentre altri sono originari del Pakistan. Dividendo la paga mensile per le ore di lavoro i compensi di media non superano 4 euro l’ora, senza ferie né malattie retribuite per sette giorni la settimana. "Se chiediamo diritti ci dicono che possiamo andare via", aggiunge il collega mentre sventola la propria busta paga da 811 euro. Non solo salariti da fame, ma anche pagamenti in ritardo e spesso con cifre più basse del già basso compenso: "Ogni mese mancano sempre 100 euro dalla busta paga, ci dicono che non hanno soldi, ma noi così non riusciamo più a mangiare", aggiungono i dipendenti alcuni dei quali mostrano dita schiacciate durante la lavorazione e occhi feriti. Infortuni, a detta loro, rimasti sotto traccia che sarebbero avvenuti durante il ciclo di lavorazione e mai denunciati.

"Abbiamo avuto un primo incontro con l’azienda per chiedere l’applicazione del contratto nazionale del lavoro per tutti i 40 dipendenti della Top Line", dicono Sarah Caudiero e Luca Toscano, leader dei Si Cobas. "All’incontro si è presentato solo un consulente mentre il titolare non lo abbiamo mai visto, è anche difficile stabilire chi sia il vero titolare perché la società cambia continuamente nome". Un primo incontro al quale è seguito solo silenzio, da qui la scelta di indire una giornata intera di sciopero: "Abbiamo ottenuto il reintegro di due lavoratori che erano stati lasciati a casa senza una motivazione. Se non avremo altre risposte sposteremo l’attenzione sui committenti che sono responsabili per legge di quanto avviene nelle fabbriche alle quali commissioni lavoro". Intanto da una settimana gli operai iscritti a si Cobas -venti della Top Line -, si rifiutano di fare gli straordinari e si limitano a lavorare 40 ore alla settimana.

Silvia Bini