"Mi illumino di solitudine con occhiali da sole"

Il fratello: "Questi due versi scritti nel 1995 forse riassumono tutta la sua vita. Mi consegnò i suoi quaderni nel 2006, come se avesse un presentimento"

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di Giovanni Nuti *

"Allora io credo di essere uno dei più grandi ermetici italiani". Scrive così, su una pagina di un quaderno, che raccoglie alcune delle sue poesie dal 1979 al 1984. Lo scrive con quella sua scrittura sfacciata in stampatello corsivo, lo scrive con la sua arroganza di toscano, schietto e vero come il vino della nostra terra. Francesco Nuti è un poeta. Lo ha sempre saputo, e anch’io l’ho sempre saputo, ma leggere quei suoi 22 quaderni che mi affidò nel 2006, in preda ad un presentimento, è stata una scoperta, o meglio, una riscoperta. Sì, la sua è una poesia ermetica: nell’agenda grigia del ‘95, dedica a Ungaretti due versi che riassumono tutta la sua ispirazione, forse tutta la sua vita: "Mi illumino di solitudine con occhiali da sole".

Ermetismo, surrealismo, teatralità dell’assurdo e una lunare melanconia sono i colori della sua ricerca poetica. Ma non crediate che sia una scrittura improvvisata, inconsapevole e provinciale, Francesco Nuti è un avido lettore di Bukowski e del suo amatissimo Samuel Beckett. Lo descrive in una pagina bellissima, dove mescola la noia e il disincanto del mondo del cinema con la meraviglia, in una notturna piazza Navona, mentre lo scrittore irlandese appare come sceso da un altro mondo: "Ho visto Beckett in Piazza Navona, ma solo un attimo… Tutti l’abbiamo visto passare davanti a quel bar con la sua camminata lucida e altera. Ogni tanto si fermava guardandosi intorno, e dopo aver odorato un mazzo di rose rosse...nel suo celeste vestito, riprendeva a camminare di fronte ai nostri sguardi inebetiti". Poi nel quaderno rosso del 1983, Francesco ci regala la sua confessione più intima: "Nuti: la poesia comica della solitudine".

Credo che Francesco, attraverso la poesia, abbia dato sostanza alla solitudine e al silenzio, che come sappiamo è una cifra stilistica essenziale della sua cinematografia.

Ma ecco qui la storia di una riscoperta. Nel maggio del 2017 ho iniziato a raccogliere, ordinare e trascrivere tutte le poesie scritte da mio fratello. È stato un lavoro lungo e paziente, doloroso, meraviglioso. Qualche mese prima che Francesco avesse l’incidente del 2006, una sera a Roma, una di quelle sere piene di amarezza, mi portò nello studio, aprì un cassetto e mi fece vedere i suoi quaderni e i suoi diari. "Questi è meglio che li prendi tu", mi disse, "mi dovesse succedere qualcosa". Qualcosa? Che cosa? Gli chiesi, ma come faceva spesso lui, non rispose, volle che prendessi quelle carte e le conservassi. Confesso che lessi solo un quadernuccio dei primi anni del cabaret, poi non volli andare avanti. Quando in seguito, riemerso dal coma, Francesco decise di scrivere la biografia pubblicata da Rizzoli, dal titolo "Sono un bravo ragazzo", lo aiutai, integrando quello che lui ricordava con i suoi diari, che per altro sono citati in un capitolo centrale di quella pubblicazione. Scoprii che erano pieni di poesia: non solo come stile generale di scrittura, ma proprio come specifiche forme di poesia. E lui, in queste pagine, si dichiara "poeta", a chiare lettere.

Se guardiamo all’indice dei manoscritti, si tratta di 22 quaderni o agende che coprono un arco temporale dal 1979 al 1996, a cui si aggiungono un gruppo di poesie che Francesco ha composto dal 2011 al 2017 e che ho trascritto quando lo andavo a trovare nella sua casa di Prato. In quelle pagine, le poesie sono come frutti maturi che ti cadono in mano, senza bisogno di farne una scelta, perché per me scegliere, in quella fase della trascrizione, significava amputare il percorso di una vita. Adesso, credo che debba essere valorizzata tutta la poetica di Francesco Nuti, facendolo parlare attraverso la voce più intima dei suoi scritti.

* Medico, scrittore,

fratello di Francesco