Il giudice manda alla sbarra il capo dei capi. A Prato il primo processo alla mafia cinese

Clamorosa e inedita decisione del gup: 38 cittadini orientali rinviati a giudizio con l’aggravante del articolo 416 bis del codice

China Truck: il blitz della polizia in alcune aziende di trasporti pratesi (Foto Attalmi)

China Truck: il blitz della polizia in alcune aziende di trasporti pratesi (Foto Attalmi)

Prato, 11 giugno 2021 - La Piovra orientale a Prato traffica, lucra, si arricchisce. Per la prima volta un giudice certifica l’esistenza della mafia cinese che opera(va) in provincia e in altre zone d’Italia – ad esempio Firenze e Roma – con gangli in mezza Europa, infiltrandosi in attività lecite e illecite. E’ accaduto ieri in tribunale a Firenze, dove il giudice delle udienze preliminari Giampaolo Boninsegna ha rinviato a giudizio 38 cinesi, molti imprenditori anche di notevole spessore economico, con l’accusa di far parte di una presunta associazione mafiosa. Il gup, accogliendo le richieste del sostituto procuratore Eligio Paolini della Dda – Direzione distrettuale antimafia – attribuisce ai 38 imputati orientali l’aggravante dell’articolo 416 bis del codice penale, appunto l’associazione a delinquere di stampo mafioso. In tutto gli imputati sono 79, compresi alcuni italiani ritenuti complici di cinesi nella commissione di singoli reati tra il 2011 e il 2017: a vario titolo, sono contestati – anche senza il 461 bis – episodi di estorsione, usura, sfruttamento della prostituzione, spaccio, gioco d’azzardo, esercizio abusivo del credito, intimidazioni. La Piovra gialla, sempre secondo le indagini coordinate dalla Dda, avrebbe allungato i tentacoli in città e oltre monopolizzando il trasporto su gomma.

Si chiude così, con un clamoroso punto a favore dell’accusa e dopo mesi d’udienze, un passaggio cruciale dell’inchiesta battezzata China Truck, esplosa a inizio 2018 con una raffica di arresti al termine di una lunga indagine della Squadra mobile di Prato e dalla Dia toscana avviata dopo l’omicidio nel 2010 di due giovani cinesi, massacrati a colpi di machete in un ristorante a Prato. Tra i 33 orientali arrestati nel gennaio di tre anni fa, gli investigatori attribuivano un ruolo centrale nella presunta organizzazione criminale a Zhang Naizhong (definito dal gip che dispose la misura cautelare "capo dei capi", "uomo nero"). Un terremoto giudiziario che trasformò Prato nella "capitale europea" della mafia cinese, secondo il commento del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Ma gli arrestati restarono in cella appena 20 giorni: il tribunale del Riesame non ravvisò gli estremi del 416 bis, e la stessa cosa fece la Cassazione con due pronunce con cui confermò la scarcerazione degli indagati e la restituzione dei beni sequestrati, un tesoro da milioni di euro. Il processo inizierà il 16 febbraio dell’anno prossimo a Prato, ma per la carenza di spazi e personale del tribunale cittadino è probabile che il dibattimento – ci si aspetta duri qualche anno – si trasferisca nell’aula bunker di Firenze. Tutti gli imputati sono attualmente liberi.

La contestazione dell’associazione mafiosa, in tribunale dovrà superare il muro innalzato dalle difese degli imputati. Gli avvocati Federico Febbo e Costanza Malerba assistono uno dei cinesi accusati di mafia, ma il loro ragionamento – fatte le necessarie distinzioni – ha un valore generale: "Il 416 bis – riflette l’avvocato Febbo – implica l’esistenza di un gruppo criminale con una struttura capace di incidere in tutti i gangli economici, leciti e no, del territorio dove opera. E in questa inchiesta non ci sono prove dell’esistenza di una mafia cinese. I cinesi al massimo possono influenzare altri cinesi, non un intero territorio abitato anche e soprattutto da non orientali. Ci pare una valutazione eccessiva del giudice: a nostro parere non esiste l’inquinamento mafioso negli appalti, né vi sono risultanze riguardo al fenomeno del pizzo. Poi, possiamo riflettere sul fatto che la comunità cinese è piuttosto chiusa e poco incline a inserirsi nel tessuto economico del Paese che la ospita, il contrario di quanto fanno Cosa Nostra e ’Ndragheta quando intessono affari fuori dalle loro tradizionali zone d’influenza".

Gli avvocati Antonino Denaro e Melissa Stefanacci difendono altri imputati di China Truck – Stefanacci il presunto ‘uomo nero’ – e non commentano l’esito dell’udienza preliminare. Anche per loro, comunque, Piovra gialla e 416 bis in questo processo non esistono.