REDAZIONE PRATO

"La mia Resistenza al Fabbricone Avevo 15 anni, salvai i macchinari"

Macrì, 92 anni, tra gli ultimi testimoni di quei tragici giorni. "Le donne smontarono i telai pezzo per pezzo e io li portai ai contadini per nasconderli nei fienili. I tedeschi non mi presero, ma rischiai la vita"

Giorgio Macrì, 92 anni

In un periodo di guerra si cresce in fretta. La spensieratezza dell’adolescenza e lo studio sui libri di scuola lasciano ben presto il posto alle responsabilità e alla necessità di lavorare per aiutare la famiglia. Lo sa bene Giorgio Macrì, 92 anni, uno degli storici partigiani di Prato, arrivato in città nel 1943 lasciando la terra d’origine, Vibo Valentia. Quando arrivò a Prato assieme alla famiglia per raggiungere il fratello, Macrì non sapeva cosa avesse progettato per lui il destino. Aveva 15 anni, era appena un ragazzino, ma già lavorava al Fabbricone, la più grande fabbrica della città con oltre mille operai. Le truppe tedesche avevano deciso di distruggere tutti i macchinari della fabbrica, ma le intenzioni dei nazisti vennero anticipate dai partigiani che affidarono a quel ragazzino da poco arrivato a Prato il compito di sabotare il progetto. "Le mie colleghe donne furono fondamentali perché smontarono i macchinari pezzo per pezzo" racconta. "Io li mettevo sui barrocci e sui cavalli e li portavo ai contadini in provincia di Pistoia. I tedeschi ci guardavano con fare sospetto, ma per fortuna non ci fermarono. Io fischiavo e facevo finta di niente, tanto avevo già la scusa pronta in caso di controllo: avrei detto che li stavo portando in una nuova fabbrica da aprire in città". I contadini nascosero i pezzi dei macchinari ovunque: nei fienili, nelle case, nelle sagrestie, per poi restituirli dopo la liberazione. Le conseguenze di quei gesti però non tardarono ad arrivare. "I tedeschi fecero un rastrellamento, ne portarono 132 nei campi di concentramento e solo venti tornarono indietro" continua Macrì. "Io invece fui costretto a scappare a Pavana e poi a Sambuca Pistoiese dove facevo la staffetta per vedere se arrivavano i fascisti". Finita la guerra Macrì tornò a Prato. E’ stato per decenni infermiere professionale, oltre che volontario della Pubblica Assistenza. Per le sue gesta eroiche ha ricevuto riconoscimenti dal Comune di Prato, poi il Giglio della Liberazione da quello di Firenze, e altri premi dall’Anpi. Ha insegnato a studenti di tutto il mondo i valori della resistenza. Adesso però vorrebbe ricevere il riconoscimento più grande: un attestato di pubblica benemerenza al valor civile da ricevere direttamente dal presidente della Repubblica. "Sarebbe una gratificazione personale, un riconoscimento per quello che ho fatto durante la resistenza. Ho rischiato la vita per la mia città. Per me l’antifascismo è libertà, il 25 aprile finirono la guerra, la fame e la paura". Per fare ottenere il riconoscimento a Macrì si è mobilitato l’ex presidente della Circoscrizione Ovest, Giovanni Mosca. Serve infatti una delibera di giunta, da consegnare al prefetto e poi da spedire a Roma a una specifica commissione. "Macrì è un vanto per tutta la città" commenta Mosca. "Siamo orgogliosi di avere un concittadino che a soli 15 anni ha compiuto un gesto così eroico. Ne ho già parlato col sindaco Biffoni e assieme andremo dal prefetto a fare richiesta. Macrì merita questo attestato".

Stefano De Biase