
Andrea Borelli
Prato, 19 agosto 2015 - «Anch'io ho rifiutato la commessa sottocosto che è stata offerta a tutti i terzisti a inizio mese. Ho detto no, perchè non si può svendersi lavorando al 30% in meno della media del mercato, ma riesco lo stesso a non chiudere mai in agosto». Andrea Borelli, titolare delle tessiture artigianali Italia con sede a Bagnolo e Italia 2.0 con capannone a Oste di Montemurlo svela il segreto di come non chiudere per ferie e guadagnarci su. Anche rinunciando ai centomila metri di tessuto che un noto lanificio ha offerto a tariffe stracciate a chi lo avesse tessuto in agosto. Perché ha detto no? «Il discorso è lungo: in fabbrica si hanno costi in dodici mesi dell’anno e ricavi in dieci mesi, perchè di norma agosto è un mese perduto e fra metà dicembre e metà gennaio si finisce per lavorare pochissimo, anche se le bollette, gli stipendi scattano lo stesso. E allora se lavori ad agosto devi farlo se merita, non puoi svenderti». In che senso? «Non conviene più il basic, i tessuti per i quali i telai “viaggiano da soli“. Come il cardato. Conviene invece la produzione più raffinata, in cui c’è una forte componete “umana“, col filato che va inserito più volte, lo stop and go del telaio. Tutte voci che si pagano, che fanno lievitare le tariffe dalla media di 0.32 ogni mille battute delle produzioni standard sugli 0,60 fino a 0,90. E questa è una soglia che consente margini che premiano chi sta aperto in agosto, anche se a ranghi ridotti». Geniale. «E’ il mercato: se compri un cappotto di Dolce e Gabbana costa mille euro perchè se ne producono magari cinque al giorno. Al grande magazzino il cappotto lo paghi cento euro perché se ne producono cinquemila». Tradotto nella sua fabbrica? «Se lavorassi a pieno regime in agosto i lanifici mi strozzerebbero abbassando le tariffe. Lavorando con pochi telai e produzioni di livello medio alto diventa conveniente». Costa sta tessendo? «Un bouclé in lana con 7-8 colori in trama». E la commessa sottocosto? «A quanto mi risulta è stata accettata, da aziende in gruppo». Rovinano il mercato? «No, ognuno gestisce l’azienda come crede. io ho i miei indirizzi e i miei codici di comportamento. Anche verso i lanifici». Sempre così tiranni, loro? «Io dico che certi grossi nomi rischiano di distruggere il distretto, non riconoscendo le tariffe oppure pagando il conto terzi a 120 giorni. Succede solo a Prato». Preferirebbe lavorare a Biella? «Mi basta stare a Prato e lavorare per Biella, Thiene , il comasco. Io lo faccio e il trattamento è ben diverso. Loro pagano più dei pratesi, senza tante trattative e sofferenze». Sono matti o dipende da accordi territoriali diversi? «Non sono matti. Sono lanifici che fino a ieri avevano lavorazioni interne, le hanno chiuse e ora fanno ricorso ai terzisti. Ai quali pagano senza tante storie le voci (messa in macchina, cambio filato eccetera) che prima mettevano in conto a se stessi. Qui invece è solo corsa al ribasso». Alla quale non vi sottraete nemmeno voi terzisti sempre pronti allo sconto rispetto al concorrente. E anche questo è stata la forza di Prato. «Lo dice la storia. Ma è anche vero che nessuno ti mette la pistola alla tempia. Io piuttosto, cerco di cambiare passo. Con Tiziano Tronci che ieri su La Nazione rivelò la vicenda della commessa sottocosto ci confrontiamo spesso, cerchiamo di scambiarci informazioni commerciali sui clienti. Cerco di vedere gli altri tessitori non più solo come concorrenti, ma come colleghi. Invece tanti restano nel proprio orticello». Quanti siete in azienda? «Una trentina fra le due fabbriche. L’Italia 2.0 è chiusa per due settimane l’Italia lavora sempre, tranne il pomeriggio del 14 e la mattina del 17, che ho dato di riposo. I nostri otto tessitori lavorano di norma 6 ore dal lunedì al sabato, ora fanno turni di otto ore ciascuno così tutti andiamo in ferie e la fabbrica non chiude». Quante tessiture sono rimaste, a Prato? «Strutturate e con discreta capacità produttiva, una decina. Conta far girare le macchine, scegliere il,male minore. Si lavora per sopravvivere». Ma tantissimi hanno chiuso. «Se chi è rimasto ha lavoro perfino in piena estate è anche perché tanti non ci sono più e ora siamo in pochi». Il futuro? «Siamo come dopo una guerra, abbiamo delle ferite. E il decorso non può essere uguale per tutti: c’è chi muore e chi guarisce in una settimana. Ma nessuno è rimasto illeso».
Piero Ceccatelli