L'ex sindaco di Lucca Pietro Fazzi: "La città sta ancora crescendo" / L'INTERVISTA

Primo cittadino dal 1998 al 2006, parla a tutto tondo della sua esperienza politica, conclusasi ormai 12 anni fa

L'ex sindaco di Lucca Pietro Fazzi

L'ex sindaco di Lucca Pietro Fazzi

Lucca, 19 marzo 2018 - Pietro Fazzi indimenticato sindaco di Lucca, a cavallo del millennio, ha abbandonato la politica attiva. Svolge l’attività di libero professionista. Iscritto all’albo dei consulenti finanziari da ventitre anni, è proficuamente impegnato in partnership con uno dei principali gruppi bancari nazionali.

Le manca la politica attiva? "La decisione è maturata a partire dal 2015, quando mi sono reso conto che le persone che erano state elette con me hanno scelto di seguire le indicazioni di carattere generale dei partiti e non le scelte per cui erano stati eletti. In particolare, c’era una polemica forte sull’immigrazione, il centrodestra a Lucca ha scelto la linea di Salvini. Non metto in discussione la fedeltà alla Costituzione di Salvini, però trovo troppi ammiccamenti alle posizioni razziste e anche intolleranti. Su questo è maturato un allontanamento a quello schieramento. Per me il razzismo e tutto quello che gli somiglia è intollerabile. Non mi sento poi di riciclarmi comunque, non devo fare politica per forza. In molte occasioni si parla di rinnovamento della classe dirigente eccetera, ho messo insieme le due cose, incomincio da me e rifaccio, con soddisfazione, la mia attività professionale".

Accoglienza dei migranti e ordine pubblico, due temi correlati?

"Non lo metto in dubbio, il fatto che si debba organizzarsi meglio o si debba regolamentare non vuol dire prendere in considerazione valutazioni negative sulle persone in base alla loro appartenenza a una cultura di una nazionalità diversa dalla nostra. Il fatto che i flussi sono pesanti da sostenere e occorre regolamentarli, si deve individuare qual è il limite di sostenibilità di questi flussi è tutto legittimo. Il fatto invece che per convincere l’elettorato a votarci si è disposti ad usare una terminologia, un linguaggio violento o comunque accondiscendete alla violenza, per me è inaccettabile".

C’è una ricetta per risolvere il problema?

"Non faccio politica attiva e nello stesso tempo non mi voglio deresponsabilizzare, però penso che sia un lavoro paziente. E’ necessario un accordo serio insieme all’Europa e un’organizzazione efficace per le strutture e la modalità dell’accoglienza. Non entro nella dialettica del come e perché in qualche modo continuerei a presentarmi come colui che cerca di dare soluzioni. Io ora sono un elettore che guarda nel mercato delle offerte politiche verso quelle che sono più compatibili con le mie scelte di valori e con le mie convinzioni. E’ stato, tuttavia, un passaggio non indolore, l’ho comunicato in maniera chiara nel febbraio dello scorso anno, senza grandi clamori. C’è solo incompatibilità e non mi sento di passare da una parte all’altra degli schieramenti perché non è nel mio modo di fare. Non ritengo di essere indispensabile alla politica. Mi dedico pienamente e felicemente alla mia attività professionale.

Alcide De Gasperi ripeteva che la politica vuol dire realizzare

"Fare politica vuol dire preparasi alla politica. La lettura di De Gasperi o la lettura di cosa è stato fatto in passato penso debba essere un passaggio doveroso per tutti. Sono un po’ insofferente nei confronti di chi s’improvvisa in tutto e in particolare in politica perché quello riguarda tutti. Ci sono molte altre letture che ciascuno dovrebbe fare per mettersi in condizioni di affrontare temi che sono sempre complessi, rispetto ai quali, siamo sempre inadeguati. Realizzare in politica vuol dire tante cose, vuol dire offrire percorsi e strumenti di umanizzazione per il sociale, per lo sviluppo, il lavoro. Farlo con il rispetto delle regole delle istituzioni e cercando un senso a quello che si propone.

In quale direzione procede la politica?

"Proprio di questi giorni c’è la riflessione di come affrontiamo la politica in Italia e come forse potremmo trovare una strada per migliorarla. In fondo per fare l’accordo sul nuovo Governo in Germania, ci hanno messo sei mesi. Devo dire che durante i mesi scorsi in campagna elettorale qualcuno ha provato anche a sbeffeggiare i tedeschi perché ci mettevano tanto. In Germania hanno iniziato una trattativa serrata durata mesi su contenuti sapendo che poi avrebbero fatto sul serio. Non era ininfluente mettere una riga scritta in un modo o in un altro. Sono arrivati a un accordo che hanno sottoscritto e proposto alle rispettive basi di partito le quali si sono espresse o con un congresso o con un referendum. Ora si sono vincolati a fare quello che hanno scritto. Questo in Italia fino ad ora è, purtroppo, impensabile".

Cos’è la fede per lei e quanto ha contato nella sua attività politica?

"La fede è la certezza di poter sperare. Ho scelto di fare della politica un elemento fondamentale della mia vita dal rapimento di Aldo Moro. Nell’estate del ‘78 ho deciso che la politica era una cosa che mi interessava. Era il mio punto di vista sulla realtà e sulla società. Questo non ha voluto dire che mi sono messo a far politica, ma semplicemente ho cercato con i miei limiti ma con tutto l’entusiasmo di cui ero capace di prepararmi. Quella scelta nel ’78 l’ho fatta in un contesto di esperienza associativa dell’azione universitaria cattolica, quindi è maturata in un percorso all’interno di quell’esperienza. Questa scelta di fondo mi ha accompagnato sempre ed è stata la motivazione principale. Poi c’è anche la passione di vedere migliorare le cose per il bene comune".

Ad esempio quali?

"C’erano temi nella nostra città fermi da decenni, come il regolamento urbanistico. Ho provato a dare una forma più definita di sviluppo della città. Ad esempio il sottopasso di Viale Castracani, di per sé non ha nessun significato particolare ma io ne avevo sentito parlare sin dagli anni settanta come opera necessaria. Il ponte sul Serchio, il cui progetto ora procede, è sul tracciato che abbiamo indicato durante il mio mandato. Cose di questo tipo, ma anche sistemare meglio le case per anziani che erano veramente fatiscenti, attivare servizi importanti per la città. Questo a discapito della mia attività professionale che ho sempre tenuto in disparte, proprio per non approfittare della visibilità che avevo come Sindaco, sarebbe stata una imperdonabile caduta di stile".

Dopo vent’anni come vede cambiata Lucca?

"Ho smesso dodici anni fa di fare il sindaco. Lucca sta ancora crescendo, ogni amministrazione regala la sua impronta. Direi che con l’amministrazione che è seguita immediatamente dopo il periodo di commissariamento, ho avuto la sensazione che Lucca abbia proceduto con il freno a mano tirato per cinque anni. Con Tambellini è iniziato un lavoro molto intenso per cercare di sbrogliare varie situazioni e questioni. Mi sembra si possa comprendere in quale direzione questa amministrazione voglia portare la città. Spero che il cantiere della Manifattura vada avanti, la sistemazione delle piste ciclabili proceda, la definizione di questo grande salto di qualità del Summer Festival continui, il rilancio della Fondazione Puccini non si arresti, tutte cose che hanno luci e ombre, ma è la realtà della vita".

I cambiamenti culturali e spirituali portano confusione dagli effetti imprevedibili?

"Siamo sicuramente in un periodo di svolta. I più grandi riferimenti dell’ottocento sono sfumati perché tutti dicono che sono liberali però nello stesso tempo parlare di liberalismo ora è impossibile, almeno come si diceva in passato. Chi dice che bisogna che uno faccia come crede perché poi il sistema si regola, o mente o è rimasto indietro. I valori di relazione, di contatto e di solidarietà certamente sono auspicabili per la comunità, però vanno ridefiniti completamente. A me non piace la posizione di chi va a pescare nel novecento quel malessere o turbamento, quello spirito di protesta che è sfociato nel totalitarismo, bisogna avere il coraggio di assumersi il rischio di guardare il più possibile al futuro. Però in effetti non si comprende quale direzione prenderà il futuro penso che dovremmo avere il coraggio di guardare ad una geopolitica molto diversa".

Nel suo profondo rispetto per la politica, è una sofferenza osservare e basta?

"No, intanto l’ho scelto io, nessuno me l’ha imposto e non ci sono stati fatti strani che mi hanno spinto verso questa scelta, nella valutazione di quello che è giusto e opportuno che io faccia conta anche il mio punto di vista. Ci sono persone che si sono rivolte a me con grande affetto che mi hanno detto con forza di continuare. Io invece penso di aver poco da dire, di non essere necessario. Io ho rappresentato, nel microcosmo lucchese, una scheggia un po’ fuori controllo e ne sono contento, nulla è accaduto per caso. Ero interessato a obiettivi e valori. Se c’erano ostacoli o difficoltà ho cercato di lottare e superarle".

Pensa di aver lasciato qualcosa in sospeso?

"Avevo immaginato di concludere una serie di cose a mio avviso importanti. Comunque sia, le avrei interrotte nel 2007 invece che nel 2006. La preoccupazione vera era quella di sperare che la città finisse in mani buone, di chi ne avesse buona cura. Vedere seccare i prati, vedere lo sporco, mi è dispiaciuto. Alla fine ho messo tutto in secondo piano rispetto all’impegno che avevo, non mi sono risparmiato. Però non ci posso fare niente, se non dispiacermi, anche quando vedo cose volutamente fraintese. Sono consapevole che non è nelle mie possibilità oggi fare qualcosa. Io sono andato dai sindaci che mi sono succeduti a far presente tutto quello che potevo in termini collaborativi. Devo dire che, di volta in volta, sentivo parole di apprezzamento".

Aveva avuto l’idea di spostare il campo nomadi.

"Sulla questione sembra che questa amministrazione voglia risolvere positivamente. Sulla gestione del campo nomadi era pronta una soluzione che io presentai al sindaco Favilla, lui mi disse che non era d’accordo, ne parlai anche con Tambellini. L’ipotesi di trasferimento fra Lucca e Capannori è stata discussa con gli abitanti del campo nomadi, non sarebbe stata certo una deportazione, non ho mai pensato in quei termini violenti. Io li andavo a trovare ripetutamente, c’era un rapporto, pur molto articolato, che prevedeva una soluzione che poteva andar bene. Inoltre mi è dispiaciuto molto vedere fermo il PIUSS, è stata una tragedia per la città. E’ stata frettolosa la decisione, macchinosa la gestione e alla fine tutto è arenato miseramente. Posso essere rammaricato dal lato umano e lo sono, ma politicamente ho la convinzione di aver veramente cercato di fare tutto il possibile sino all’ultimo giorno del mio impegno".