ROBERTO BALDI
Cronaca

Il penalista Mati lascia Va in pensione a 85 anni

"Passo doloroso ma necessario. Ho amato la professione più della mia vita". L’incontro con Andreotti nel 1961 e le incursioni da giovane rivoluzionario

di Roberto Baldi

Metteva in riga tutti, a cominciare dal collegio giudicante, con quella sua dialettica venata di ingegnosa ironia, pungente di acume logico e di consequenzialità stringente.

"Troppo bravo e troppo irridente" mi diceva di lui un giudice che amava e temeva uno dei più noti penalisti della Toscana, l’avvocato Giovanni Mati. Ma anche un personaggio umanamente ricco e di intelligenza viva che gli consentivano un rapporto particolare con l’imputato, da difendere prima con un’introspezione partecipe e poi con gli articoli del codice.

Il processo a Bambagioni e l’ergastolo comminato a un giovane che aveva ucciso un barone del luogo, in mezzo a tante assoluzioni da lui perorate e ottenute, erano fra i crucci che si portava dietro nel tempo perché, spiegava, certi accadimenti e certi errori sono talvolta frutto di situazioni intricate non addebitabili interamente ai condannati. Da oggi cessa la professione. E lo fa alla sua maniera asciutta e a prima vista imperturbabile ereditata dal padre ex rettore del Cicognini, solo in apparenza lo scorbutico della caverna accanto, da cui si attendeva un complimento per 110 e lode alla laurea di avvocato. E il padre: ti hanno dato quello che dovevi. Ora il leone non ruggisce più. Va in riposo senza il permesso di arrugginire, perché il giovane rivoluzionario (tre nottate in carcere poi rilasciato con uno scappellotto, una prima volta a 18 anni nella manifestazione per Trieste italiana; una seconda quando interruppe il vescovo Fiordelli che parlava dal pulpito di Donatello davanti alla folla; una terza nel 1956 quando, nascosto in un muletto con un amico, tentò di varcare il confine austro-ungherese per opporsi all’invasione russa) asseriva che chi non è estremista negli anni verdi non ha cuore e chi non s modera da anziano non ha cervello. Alle soglie della pensione ha scritto un libro dietro l’altro ed altri forse ne scriverà nel permanente anelito di libertà perché, mi diceva, nella professione forense si è legati a copioni prestabiliti, mentre nel libro si dà libero corso alla fantasia con indipendenza di giudizio.

Molte le personalità con cui Mati ha intessuto una solida amicizia pubblicamente attestata: dall’avvocato Giovanni Leone, eccellente civilista, presso cui aveva svolto la pratica di avvocato, ai magistrati Ravone, Carone, Pasquariello, per finire ai sindaci Vestri e Landini, al vescovo Simoni.

Fra i tanti personaggi incontrati c’è anche Andreotti con cui stabilisti un sodalizio duraturo. Come avvenne?

"In seguito all’uccisione dei 13 aviatori italiani a Kindù l’11 novembre 1961, io e il tenente Solinas fummo chiamati a prestare la scorta al presidente Andreotti che, per non avere onori ufficiali dal governo congolese, atterrò a Brazzaville, capitale del Congo ex francese, attraversando poi il fiume con una barca a motore. Andammo a riceverlo e lo accompagnammo durante la permanenza. Andreotti non dimenticò: mi ha sempre inviato i libri che ha pubblicato".

Perché la frase "la giustizia è uguale per tutti" è scritta alle spalle e non davanti ai magistrati? si domandava il tuo amico Andreotti.

"Ho sempre ritenuto i tribunali e i giudici un presidio irrinunciabile della democrazia, ottenendo molti successi giudiziari e tantissimi attestati come presidente dell’Ordine e poi presidente dell’organismo nazionale dell’avvocatura; nel 1992 anche una mia candidatura da indipendente al senato per il PSI. Negli ultimi anni c’è stata una progressiva involuzione della magistratura, che ha cominciato a muoversi come un partito vero e proprio. Si è sentita in dovere di difendere non più solo la legalità, inducendomi a un passo incredibilmente doloroso ma necessario di mettere la parola fine a una professione che ho amato più della mia vita".

Quale voto ti daresti per i 60 anni di cosiddetto onorato servizio, dopo il 110 e lode della laurea ?

"Datemi 7 in condotta perché son sempre stato un rompiballe, ma 110 e lode in avvocatura per il mio impegno assoluto nell’esercizio della professione nell’assoluto rispetto delle leggi". Il pianista della parola, quello che tutti avrebbero voluto come difensore e nessuno come contraddittore, ha finito di suonare. Mancherà a noi e alle aule giudiziarie.