"Ho girato il mondo, ma quanto è bella Prato"

Edoardo Pucci, originario di Vernio, è ambasciatore in El Salvador. "Ho rinunciato a entrare nella ditta di famiglia per seguire il mio sogno"

Edoardo Pucci, originario di Vernio, è ambasciatore in El Salvador

Edoardo Pucci, originario di Vernio, è ambasciatore in El Salvador

Da Mercatale di Vernio fino a El Salvador, passando per Africa, Stati Uniti e Guatemala. Ne ha fatta di strada Edoardo Pucci, 50 anni, "verniatto doc", come gli piace definirsi, ambasciatore italiano in El Salvador dal 2020. Il pallino per la carriera diplomatica l’ha sempre avuto, e con determinazione e impegno, ha raggiunto il suo obiettivo, diventando ambasciatore prima in Guatemala e Honduras, poi in El Salvador dopo aver operato nelle nostre missioni in Repubblica Democratica del Congo e a Washington dc. "Ero la ’pecora nera’ della famiglia, da figlio di imprenditori tessili, sono stato l’unico a non entrare in azienda", racconta scherzosamente. Maturità scientifica al Convitto Cicognini, laurea all’Università Cesare Alfieri di Firenze, quattro lingue, poi la strada che si è aperta verso Roma dove ha cominciato la carriera senza mai dimenticare le origini, la "sua" Prato a cui resta legato e dove gli piace tornare di tanto in tanto tuffandosi nelle strette strade del centro storico, quelle meno battute. In questi giorni, Pucci è in Italia, a Roma, dove ha partecipato alla conferenza "Ambasciatrici e Ambasciatori d’Italia 2022" organizzata dal Ministero per presentare le attività della Farnesina all’estero a cui ha preso parte anche il pratese Giorgio Silli in qualità di sottosegratario agli Esteri.

Ambasciatore, di cosa tratta la conferenza?

"E’ una kermesse organizzata normalmente ogni due anni che riunisce gli oltre cento ambasciatori d’Italia. Quest’anno è stata promossa dal ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani. E’ un modo per incontrarsi, scambiare idee e condividere buone pratiche. E’ un’opportunità per restare in contatto con il mondo politico, in particolare quest’anno col nuovo governo".

Torna spesso in Valbisenzio e a Prato?

"Appena posso: sono legatissimo alla mia città. La trovo stupenda, la adoro".

Cosa le manca di Prato?

"Tutto. Quando ritorno mi piace stare nella tranquillità di Vernio, rivedere i vecchi amici, rendermi conto di come sono cambiate le cose".

Dove le piace andare?

"Lascio la macchina lungo le mura, mi piace fare colazione nei bar del centro. Non manco mai di passare da Mattei per fare scorta di biscotti che poi servo nel corso di eventi culturali o politici in residenza o ambasciata. Oppure nelle colazioni o cene ufficiali mia moglie prepara i famosi tortelli di patate. A Prato cammino, mi perdo nelle strade del centro che mi ricordano la mia gioventù. Passo dal Convitto, sul Corso, in Duomo. Trovo che Prato stia recuperando la sua bellezza anche se alcuni negozi storici hanno chiuso. Troppo spesso viene identificata solo come una città industriale, in realtà ci sono bei locali e la ristorazione è all’avanguardia. La qualità della vita è buona".

Si dice che il centro non sia sicuro...

"Non avverto questa insicurezza, so che ci sono zone meno sicure. Per la mia storia ed esperienza a volte fa anche piacere trovarsi a contatto con quartieri multietnici. Nella mia carriera sono stato in Repubblica democratica del Congo, a Washington e in altri paesi di via di sviluppo. I luoghi multietnici, secondo me, sono una ricchezza che deve essere gestita. La carriera internazionale apre la mentalità: la diversità deve essere vista come una risorsa, non come una barriera. Bisogna sempre fare un passo avanti".

Cosa pensa della massiccia presenza di cinesi a Prato?

"E’ un qualcosa che ho vissuto. I fenomeni migratori sono complessi e difficili da gestire e prevedere. Credo che la diversità di culture sia sempre una ricchezza per lo sviluppo sociale; sarebbe opportuno quindi puntare su politiche che possano favorire l’integrazione".

E dal punto di vista economico?

"La globalizzazione ha portato vantaggi e svantaggi. Abbiamo perso potere nel tessile con la delocalizzazione e altri fenomeni tipici del settore che hanno eroso quote di mercato. Vengo da una famiglia di imprenditori del tessile, ho un vissuto il passaggio della Prato anni ’70-’80 a quella degli anni ’90. Un passaggio che ha avuto difficoltà a raffrontarsi con le regole della globalizzazione".

Ci sono molti italiani in El Salvador?

"El Salvador è il paese più piccolo del centro America, ha sei milioni e mezzo di abitanti. Gli italiani sono 3.550 di seconda o terza generazione. Sono persone molto legate al nostro Paese ed alcune lo visitano periodicamente per conoscere i luoghi di origine dei propri padri o nonni. I flussi migratori italiani in centro America risalgono agli anni ’70 e ’90. Erano soprattutto agricoltori che venivano dal Veneto, dalla Calabria e dal Piemonte, che coltivavano il caffè o la canna da zucchero e che portavano la loro esperienza in questi luoghi. L’impronta italiana è forte, anche da un punto di vista artistico. L’inno nazionale, ad esempio, è stato composto da un musicista napoletano, Giovanni Enrico Aberle. E’ anche nelle principali città sono ben visibili, nelle opere architettoniche, i segni indelebili del genio e della cultura italiana. Gli italiani hanno lavorato e lavorano tutt’oggi, anche attraverso la nostra Cooperazione allo Sviluppo, a stretto contatto con i salvadoregni per lo sviluppo di El Salvador e migliorare mutuamente gli scambi commerciali".

Che cosa consiglierebbe a un giovane che vuole intraprendere la carriera internazionale?

"Di seguire i propri sogni, di alzare l’asticella delle proprie aspettative, per abbassarla c’è sempre tempo. Chi sogna ed ha ambizione cambia il mondo. Fondamentale è uscire dalla propria zona di conforto e viaggiare e conoscere il mondo ed altre culture".