La guerra, i cinesi in diocesi, la dottrina sociale. Lo sguardo di Simoni

Il Vangelo coniugato a una lettura geopolitica non rassegnata alla guerra

Il funerale di Gastone Simoni a Prato (foto Gianni Attalmi)

Il funerale di Gastone Simoni a Prato (foto Gianni Attalmi)

Prato, 31 agosto 2022 - Divenuto vescovo di Prato nel 1991, Gastone Simoni seppe dare immagine e sostanza a una modo di essere Chiesa nella città capace di unire il particolare all'universale, come peraltro dovrebbe sempre essere, e di riposizionare quanto di buono fatto in precedenza. Nel fare il ritratto di qualcuno si rischia sempre di ridurre il profilo o di legarlo solo ad alcune linee magari importanti perché preponderanti.

Il professor Leonardo Bianchi, in particolare, docente di Diritto costituzionale che gli è stato particolarmente vicino, si è impegnato nel rigettare una sorta di riduzionismo nel guardare a Simoni che non è stato soltanto - e non è poco - il vescovo che cercava modalità efficaci di presenza dei cattolici nella vita politica (dei laici cattolici) o il vescovo della dottrina sociale della Chiesa, cosa senz'altro decisiva per il suo ministero, ma ben diversa da una visione che guarda al corpo ecclesiale come una sorta di grande assistente sociale. C'era molto di più: innanzitutto l'amore per “il Cristo contemplato e amato” (sono le parole che lui utilizzò per lo scrittore Rodolfo Doni), la ricezione del Concilio Vaticano II, la ricerca di una pastorale verso la grande comunità cinese, un attento sguardo geopolitico coniugato al Vangelo. Durante le guerre del Golfo, ad esempio. La Chiesa di Wojtyla si era trovata alla testa del movimento pacifista, ma non tutto l'episcopato italiano seppe appassionarsi a riguardo, preoccupato di derive a sinistra mentre la vera deriva era rappresentata dalla guerra e dalla sua riabilitazione come strumento di presunta risoluzione dei conflitti (purtroppo progressivamente riadottato). Ci furono diversità di accenti, soprattutto con la lettura che ne dette il cardinale Ruini che, va detto, non era certo favorevole alle guerre preventive. Simoni, in sintonia con figure come Tonino Bello, fu fermo contro la “guerra ingiusta, illegale e crudele: se anche il fine fosse buono, quando i mezzi sono intrinsecamente cattivi, tutta l'azione diventa cattiva... Non saranno certo le argomentazioni delle grandi potenze a fare diventare buona l'azione”. Prese le distanze anche da “coloro che, in Italia come in Europa, fanno da bordone a chi ha deciso la guerra, arrampicandosi sugli specchi per sottili distinzioni”.

L'attuale conflitto russo-ucraino si pone in un'altra geografia, in un altro tempo e in un altro contesto. Eppure proprio perché capaci di sapere valutare l'aspetto della terra e del cielo, si rimane stupiti di fronte all'incapacità diffusa di non sapere fare altrettanto con il tempo presente. A marzo, invece, Simoni aveva condannato l'aggressione russa preoccupato tuttavia di una timida volontà nel cercare "linee politiche internazionali ed europee più fedelmente, concretamente e intelligentemente produttive di rispetto, di solidarietà, di giustizia, di pace e di saggezza”. Simoni non si rassegnava perché aveva una visione. Un cristiano non può rassegnarsi alla guerra.