Continua il nostro viaggio nella Prato amarcord. Oggi
il primo vescovo Pietro Fiordelli e il suo amore
per Prato sono al centro di questa puntata corredata
dalle foto preziose di Ranfagni dopo che nelle scorse settimane abbiamo scritto
del mondo del tessile raccontato da Edoardo Nesi, del Lungobisenzio, di Filettole, della goliardia, delle botteghe, di Baghino, di Silvio Pugi, dell’ex sindaco Giovannini
e della redazione pratese
de La Nazione.
di Roberto Baldi
"Un pastore, come un genitore, ha dalla sua famiglia gioie, sofferenze, problemi, ansie e tanto amore. Così naturalmente è stato anche per me. Il Papa mi mandò il 17 ottobre 1954 in una diocesi degna di amore. Prato è stata per me il mio popolo, la mia casa. L’amministrazione comunale con molta delicatezza volle darmi il 13 febbraio 1992 la cittadinanza onoraria. Dei pratesi, di tutti i pratesi, ho sempre apprezzato la generosità, la più intrigante delle virtù, che si sia laici o cattolici". Così il vescovo Pietro Fiordelli, il primo vescovo stanziale di Prato e il più giovane d’Italia (aveva appena 38 anni quando venne qua), in una sorta di testamento spirituale alla città che amava. Il "vescovo giovane che s’invaghi di Prato" titolò il nostro giornale.
Era la Prato che abbandonava il cigolare dei barrocci con le pezze e il suono delle sirene per trasferirsi all’omologazione dei macrolotti. La Prato anche della devozione alla Madonna, in ogni angolo di strada un tabernacolo, la Prato dei 45.000 operai, del boom economico e della crisi del distretto industriale in quel gioco di montagne russe che è sempre stata l’industria tessile pratese. Fiordelli realizzava 25 nuove parrocchie, 21 chiese, l’acquisizione di Villa del Palco, la casa per ferie la Versiliana a Marina di Pietrasanta, la casa di Carbonin sulle Dolomiti. Andai a trovarlo prima che diventasse "emerito", uno di quei graziosi aggettivi della burocrazia ecclesiale che si riservano al pensionato illustre, quasi ad ammorbidirne il distacco. Semplice e schietto, con quell’ impeto, quell’essere uomo e prete d’azione, quel suo salire le scale di corsa, quella mancanza di orari per i pasti e per il riposo, poi seduti l’uno di fronte all’altro, io su un piccolo divano lui su una sedia, con quella dolcezza nel porgere, con quell’eloquio a ritmi morbidi. "E dire che prima di arrivare qua a Prato - mi confessò - mi avevano commiserato, considerando questa una città di comunisti incalliti, dove il vangelo più noto era quello secondo Togliatti". E Togliattigrad, ovvero Prato, dette a Fiordelli la misura di un amore senza freni già dal suo arrivo.
Mai vista tanta folla come quel 17 ottobre 1954, quando Fiordelli fece il suo ingresso in Duomo. Anche la statua di Mazzoni lì a due passi dalla cattedrale, la cui ieraticità mi era sembrata quasi una sfida al potere religioso, nel palmo destro allungato apparve quasi il tentativo di una stretta di mano alla Chiesa, in un tripudio festoso di piccioni che dalla Curia andavano a posarsi sull’anticlericale triumviro. Poi le visite all’ospedale e in particolare quella del luglio 1957 in punto di morte all’ateo Curzio Malaparte, che lo supplicò di invocare per lui la Madonna dei pratesi; le messe nelle fabbriche con un altare eretto fra le casse, i rotoli degli stracci, i sacchi, le macchine, un fiore per l’altare. E il pellegrinaggio nelle varie parrocchie e nelle fabbriche per far sentire il vescovo uno di loro, inducendo a riflettere sul valore della famiglia e sulla sacralità del matrimonio, contro la posizione laicista dell’allora sindaco Vestri che deprecava le ingerenze della chiesa in una sorta di epopea alla don Camillo e Peppone di Giovannino Guareschi.
Il matrimonio del diavolo, intitolò la Repubblica, ignara della duttilità del pratese, pronto ad accogliere alcuni anni dopo la visita di papa Wojtyla del 19 marzo 1986, un avallo caloroso alla conduzione pastorale di Fiordelli, il vento sugli ulivi in vaso che decoravano il palco della cattedrale, la commozione del popolo di Dio. Poi una breve parentesi per il pranzo e il riposo del Sommo Pontefice con la… pennichella del Papa definita "sosta silenziosa". "Fu una grazia straordinaria di Dio e anche civilmente una data che rimarrà storica", ricordò lo stesso Fiordelli. Tutta Prato si mosse. All’incontro con gli operai 22.000 presenti, un discorso magistrale del Papa sull’etica del lavoro. Infine la messa in piazza Mercatale, sferzata dalla tramontana, stracolma di circa 70.000 persone. Un abbraccio della Chiesa al popolo di Prato e del popolo di Prato alla Chiesa.
Se ne andò il 23 dicembre 2004 rendendo più amaro il Natale dei pratesi, testimone e protagonista di una provincia che era cresciuta con lui. "Sono nelle mani di Dio", mi disse poco prima di lasciarci, ben sapendo le conseguenze di un insidioso tumore che deliberatamente aveva sottovalutato. Capimmo alla sua partenza che la sorte ci aveva riservato un ministro del culto di grande spessore, che aveva dato tutto se stesso a una città diventata famiglia.