Crac Tessile Tempesti Sì al maxi risarcimento

Lo ha stabilito la Cassazione, rigettando il ricorso di Mps e Mps services banca. Masi: "L’ordinanza apre scenari nuovi per i creditori di aziende in default"

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La Corte suprema di Cassazione terza sezione civile ha messo la parola fine alla lunga vicenda giudiziaria legata al fallimento Tessile Tempesti di Tempesti Riccardo & C sas. Il collegio, presieduto dal magistrato Lina Rubino, ha rigettato il ricorso di banca Monte dei Paschi e Mps Capital services banca per le imprese spa contro la curatela del fallimento Tessile Tempesti rappresentata dall’avvocato Leonardo Masi, senior partner dello studio legale Giovannelli-Masi-Cecconi & Associati. Di fatto la Suprema Corte ha confermato le precedenti sentenze, quella del Tribunale di Prato in primo grado e quella della Corte d’Appello di Firenze del 2019 secondo le quali la Mps e la Mps Capital services erano state condannate in solido al maxi risarcimento da 4 milioni e 320mila euro in favore della curatela della Tessile Tempesti, azienda pratese dichiarata fallita nel 2009.

La curatrice del fallimento è la dottoressa Gabriella Ansaldo di Prato. La somma già versata dalla banca e accantonata dal curatore fallimentare a seguito della sentenza di primo grado del 2017 (il processo è iniziato nel 2011) potrà, ora, essere distribuita fra i creditori. L’ordinanza della Cassazione conferma nel merito l’impostazione dell’accusa, secondo la quale i due istituti avevano continuato a concedere credito all’azienda nonostante fosse ditta "decotta" già prima dell’anno 2000.

Un forte sostegno creditizio per cui, secondo l’avvocato Masi, alla fine si erano aggravati i conti dell’azienda con un deficit maggiore rispetto a quello che si sarebbe concretizzato se le banche non avessero più erogato la liquidità, avendo tutte le informazioni necessarie ad accertare l’insolvenza dell’impresa. Una situazione che ha ritardato almeno di nove anni la dichiarazione di fallimento: la Cassazione ha ribadito che la condotta di "abusivo ricorso al credito", prevista dall’articolo 218 della legge fallimentare, è da ritenere illecita non soltanto per gli imprenditori che vi continuano a ricorrere ma anche per quegli istituti che continuano a concedere la liquidità, chiamando in causa il ruolo delle banche e di eventuali finanziatori. Facendo riferimento ad una serie di sentenze della Cassazione, la terza sezione ha definito quali azioni possa intraprendere il curatore fallimentare: "la curatela, in caso di fallimento, è legittimata ad agire nei confronti delle banche per i danni cagionati alla società fallita quando venga dedotta la responsabilità del finanziatore verso il soggetto finanziato per il pregiudizio diretto causato al patrimonio di quest’ultima dall’attività di finanziamento". In pratica la Cassazione ha abbracciato quanto sostenuto dalla Corte d’Appello secondo cui le banche "hanno violato gli obblighi specifici sottesi al principio di sana e prudente gestione del credito e della normativa settoriale di vigilanza" e del merito creditizio previsti dal Testo unico bancario e dall’accordo di Basilea 2 sul rating.

"Il provvedimento della Suprema Corte apre scenari nuovi e positivi per i creditori di aziende in default poiché estende la platea dei soggetti potenzialmente responsabili, chiamati a risarcire il danno - commenta l’avvocato Masi - Dovranno essere gli organi delle procedure concorsuali a valutare con rigore, caso per caso, se il sostegno delle banche alle imprese poi dichiarate insolventi sia avvenuto in violazione delle regole di condotta e dei principi sanciti dalla Cassazione". La Cassazione, infine, ha condannato le ricorrenti al pagamento in solido alle spese del giudizio (20mila euro).

Sa. Be.