Ci sono quattro indagati nell’inchiesta della Procura di Prato sul presunto sistema dei "buoni entrata" nei capannoni al Macrolotto Uno. La Procura ha aperto un fascicolo – affidato al pm Alessia Iacopini – per verificare i contorni della vicenda. Al momento l’ipotesi di reato è esercizio arbitrario delle proprie ragioni ma si potrebbe aggiungere un’accusa di evasione fiscale. Nei giorni scorsi il pm ha delegato la guardia di finanza di eseguire alcuni accertamenti in seguito alla denuncia di un imprenditore cinese che ha raccontato di aver versato all’immobiliare, proprietaria del capannone, 400.000 euro come "buono di ingresso" prima della stipula del regolare contratto di affitto. Stessa cifra che l’immobiliare avrebbe richiesto al cinese per fare un secondo contratto di locazione dopo una procedura di sfratto diventata esecutiva. Non è la prima volta che emerge un sistema del genere intorno agli affitti dei capannoni, soprattutto nella zona del Macrolotto Uno, di quello di Iolo e di Tavolo. Sono infatti le zone più appetibili per gli imprenditori cinesi: è al Macrolotto Uno che arriva la maggior parte dei compratori da tutta Europa. Stare in quel pugno di strade significa avere una "vetrina" non indifferente, trovarsi nel posto dove gli affari girano. Già in passato erano emersi meccanismi simili. Il buono entrata non sarebbe una semplice caparra per l’affitto ma un modo per potersi "garantire" la locazione. Il passaggio del denaro infatti avviene sempre in contanti e al nero aprendo tutta una serie di dubbi e domande sulla provenienza e sulla destinazione di quei soldi.
Il sistema sembra essere ben collaudato e più diffuso di quanto ci si aspetti con il risultato che il mercato degli immobili, in certe zone della città, risulta "drogato".
Il fenomeno è al vaglio della Procura da anni ma per quanto deprecabile possa apparire, purtroppo non è così facilmente inquadrabile in un reato. Il codice penale non punisce chi fa accordi privati su un bene, come in questo caso. Anche perché l’affittuario è libero di rifiutarsi andando a cercarsi un altro immobile. Ma per stare dove i guadagni frullano veloci, i cinesi sono disposti a pagare cifre da capogiro: a Iolo si parla di buoni di ingresso che possono raggiungere gli 800.000 euro. Probabilmente gli orientali farebbero prima a comprarsi un capannone. Ma non è così semplice trovare chi vende e il più delle volte gli imprenditori cinesi preferiscono non avere beni intestati.
L’aspetto su cui la Procura ha messo gli occhi è il giro di soldi a nero – difficile da dimostrare se non è stata lasciata traccia – che potrebbe portare a scoperchiare un vaso di Pandora sulla provenienza del denaro, quasi sicuramente frutto di attività illecite. In questo caso oltre all’evasione fiscale si potrebbero intravedere reati come il riciclaggio o l’autoriciclaggio frutto di lavoro nero, evasione, contraffazione o contrabbando.
Laura Natoli