Stalker si spaccia per il boss mafioso Messina Denaro. "Vi faccio morire lentamente"

Un anno di reclusione per il reato di stalking ai danni dell'ex amante

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Pontedera, 4 ottobre 2019 - «Vi faccio morire lentamente, vi incapretto». Sono le frasi, sentite dai carabinieri, che sono valse a un 50enne (difeso dall’avvocato Alessandro Catarsi), la condanna a un anno di reclusione per stalking ai danni dell’ex amante, nel frattempo resasi irreperibile. Il processo si è concluso davanti il giudice del tribunale di Pisa Luca Salutini. Ma a monte di questa storia, c’è altro. C’è che l’uomo aveva pronunciato quelle frasi verso la donna e il suo compagno, dopo che con loro si era spacciato per un mafioso. Un uomo potente: in una circostanza, in riferimento alla sua vera identità, da quanto si apprende, avrebbe detto di essere Matteo Messina Denaro, una vera e propria primula rossa, latitante da oltre un ventennio. Del resto anche il neo condannato per stalking è originario di Castelvetrano, come Messina Denaro. E praticamente anche suo coetaneo.

La storia è degli inizi del secondo decennio degli anni Duemila. Siamo in Valdera. Il 50enne lavora nell’edilizia e, per lavoro, incrocia la sua strada con quella di un importante complesso che navigava in cattive acque. È in quell’occasione che l’uomo conosce una responsabile della struttura, con cui poi intreccerà una relazione: e sarà a lei, e poi al proprietario dell’immobile, che offrirà aiuto adducendo il suo potere legato ai clan. Offre, sarebbe emrso dalle indagini un forziere con 80mila euro che però deve essere recuperato fuori Toscana: ma servono 30mila euro per il viaggio. Gli vengono anticipate. In quel periodo inizia anche la relazione – ci sono messaggi agli atti del processo a testimoniarlo – che poi sarebbe deflagrata per tante ragioni. Comprese quelle, probabilmente, legate agli affari: in quella scatola preziosa, sistemata in un forziere, si scoprirà poi che non ci sono 80 mila euro, ma le foto del suo stesso matrimonio finite sotto sequestro come corpo del reato. Il clima diventa infuocato e lui, secondo il copione dell’accusa, perseguita la ex con squilli al cellulare e messaggi. Ma ci sono anche minacce come quella che i carabinieri ascoltano in diretta una sera che vengono chiamati.

Per il pm Lotti è vero che l’imputato non si trova e l’ex amate ha fatto perdere le tracce, mentre il compagno della donna – anche lui querelò l’imputato – nel frattempo è morto. Ma ci sono le relazioni dei verbalizzanti e gli screenshot del cellulare. Tanto basta a provare, per l’accusa, la responsabilità per stalking del boss «farlocco». E la condanna arriva, dopo una breve camera di consiglio, ponendo fine a un processo conclusosi in modo quasi surreale, con protagonisti tutti assenti. Fantasmi. Come il vero Messina Denaro.

Carlo Baroni