
Alle prime positività al Covid acclarate una settimana fa, il numero di casi riscontrati all’interno della Rems ammonta a dieci pazienti e a nove operatori fra medici, infermieri, operatori socio sanitari e educatori. Il sindacato infermieristico Nursind mette in fila una serie di interrogativi rispetto al focolaio che è esploso nella struttura che alberga pazienti psichiatrici autori di reato: i protocolli, in soldoni, sono stati scrupolosamente rispettati per evitare l’espansione del contagio rispetto ai primi casi conclamati? "I protocolli prevedono un allontanamento dalla struttura o da un reparto dei pazienti in cui viene riscontrato il Covid, per trasferire gli stessi in ospedali attrezzati per gestire pazienti con il virus – spiega il segretario provinciale del Nursind Daniele Carbocci – per quanto concerne la Rems uno spostamento di un paziente che risulta positivo non è affatto facile, data appunto la particolarità dei pazienti stessi, ma urgono spiegazioni rispetto a come è stata gestita l’intera vicenda del focolaio nella struttura di sicurezza".
Il segretario Carbocci mette a fuoco alcuni elementi. "Intanto una premessa: va detto in maniera chiara che la Rems è una struttura in cui il personale sanitario è già risicato. Ora, venendo a quanto accaduto al suo interno, la soluzione probabilmente non si trova spostando i pazienti risultati positivi, perché dobbiamo ricordare che si tratta di psichiatrici autori di reato, ma creando le condizioni strutturali e organizzative per evitare che il contagio dilaghi fra ospiti e personale sanitario. Da quanto ci risulta, potrebbe essere questa la falla nella gestione del focolaio alla Rems: viene da pensare che la situazione sia sfuggita di mano, perché da un punto di vista organizzativo dovevano essere trovate soluzioni strutturali e doveva essere messa in atto una presa in carico già dai primi casi con la gestione attraverso personale sanitario ad hoc, in aggiunta agli operatori della Rems".
Secondo il segretario del Nursind, "al di là delle difficoltà già espresse in riferimento allo spostamento dei primi casi di positività, doveva essere messa in campo una separazione più strutturata fra pazienti con il Covid e gli altri, creando le zone filtro, stanze apposite e doveva essere inviato personale in ausilio, dedicato ai pazienti con il virus. Sappiamo bene, e questo è un fatto assodato dalla prima ondata pandemica del 2020, che il momento più critico, in cui si fa più alta la possibilità di contagio in ospedale, è quello della svestizione del personale sanitario che ha assistito pazienti Covid". Conclude infine il sindacalista. "Se questa operazione avviene una volta o due nell’arco di un turno, non vi sono rischi. Ma se, come pare accaduto alla Rems, il personale si è ritrovato a ripetere questa operazione più volte e ripetutamente in un turno per assistere sia i pazienti Covid che i pazienti no Covid, si mette l’operatore a rischio di infettarsi e di infettare a sua volta. Abbiamo la sensazione – conclude Carbocci – che alla Rems qualcosa sia sfuggito di mano".
Ilenia Pistolesi