
Non c’è un solo stereotipo che non debba essere combattuto, ma se ce n’è uno che uccide è quello sulla vecchiaia. E allora che cominci davvero questa dannata rivoluzione guidata dall’orgoglio dell’età, quella che ha impreziosito il tessuto di ognuno, fortificandolo, regalandogli infine il bene più prezioso: libertà. A capo di questa ideale battaglia c’è sicuramente Lidia Ravera, giornalista e scrittrice che già nel 1976 aveva lasciato il segno con quello che poi sarebbe diventato un longseller, Porci con le ali, ospite in apertura con un reading della seconda edizione del festival Pari e dispari dedicato ai temi della questione di genere e della parità domani alle 18 alla libreria Lo Spazio.
Il programma, declinato attorno al tema ‘Donne e scienza’ sempre nel salotto de Lo Spazio, proseguirà fino a domenica ospiti la scrittrice Antonella Lattanzi (venerdì ore 18), la giornalista e comunicatrice scientifica Paola Catapano (sabato ore 16.30), il neuroscienziato Giorgio Vallortigara (sabato alle 18) e l’ingegnera Chiara Montanari (domenica alle 18).
È con Ravera uscita quest’anno per Einaudi con Age pride. Per liberarci dai pregiudizi sull’età, "manifesto contro lo stigma che colpisce chi non è più giovane", che parliamo di vecchiaia.
Cresce la popolazione anziana, non l’impegno politico a tutela. Perché questo gap?
"L’ultima parte della vita è una stagione che viene scansata, quasi cancellata, con uno stigma sociale che non accenna a diminuire. Il fatto è che mentre una volta si diventava vecchi e si moriva, oggi si diventa vecchi avendo davanti a sé ancora venti o trent’anni. Dopodiché occorre una sola cosa: fare una rivoluzione che valorizzi quest’età anziché considerarla discarica".
Come si ribalta l’idea che il ’terzo tempo’ sia inutile?
"Partiamo da un assunto: non ci sono due vecchiaie uguali, ciascuno ha la sua. Da febbraio sono in giro con il mio libro e le platee che incontro mi confermano che siamo indietro. C’è un’idea di disprezzo, come se ‘i vecchi’ fossero una categoria. Una vita così lunga modella una persona e la sua esistenza, ciascuno ha la vecchiaia che si merita. Se trovi un vecchio arido, taccagno, ipocondriaco e lamentoso, quello era già così a trent’anni. Non si cambia. Anzi, se riesci a ribattere colpo su colpo e invece di vergognarti godere della libertà di questi anni sei un artista. Non capisco perché continui questa forma di razzismo strisciante ingiustificato. L’aver vissuto a lungo sia fonte di orgoglio. Io non mi vergogno. Sono contenta di essere arrivata fin qui, col mio bagaglio".
"Certe mattine mi sveglio sedicenne, altre morente", scrive lei: in quale risveglio è più a suo agio?
"In quelli intermedi. Come ognuno di noi, anche io ho un’età interiore. E mi capita molto spesso di sentirmi una sedicenne che non riesco a licenziare. Come accade nell’ultimo mio romanzo, in uscita a febbraio per Bompiani, Un giorno tutto questo sarà tuo: l’io narrante è un 15enne maschio e devo dire non ho trovato nessuna difficoltà a scrivere proprio grazie alla mia adolescente interiore".
Questo suo battagliare per la vecchiaia assomiglia un po’ a una terapia di gruppo. Funziona?
"La scrittura funziona sempre. Age pride è stata una piccola occasione saggistica concessami da Einaudi che ho usato per capire meglio. Tant’è che ho avuto delle piccole grandi illuminazioni. La prima, nell’incipit: Non ho mai visto mia madre felice’. Tutto nasce da lì. Ho sempre avuto paura di invecchiare perché ho visto la generazione prima della mia, impersonificata da mia madre, scontenta. E allora pensavo che diventare grandi fosse un inferno. Poi ho cambiato idea: se non lavoriamo contro gli stereotipi muoriamo".
E’ utile che i giovani partecipino a questo dibattito?
"Sarebbe stato utile a 16 anni incontrare una simpatica strega a dirmi che la vita dura tutta la vita, che non serve correre spaventato da una fine. Perché la vita non finisce mica per sorpassati limiti di età. È bella sempre, anzi forse di più in fondo, per quella capacità di godere delle cose che a 16 anni non hai. Io non sono cambiata. Semmai migliorata. Sono più libera, meno conformista, seguo la mia strada, ho imparato ad ascoltare, non sono più ossessivamente al centro del quadro. Mi dispiace solo che non durerà a lungo".
E il decadimento fisico? Come dovrebbe essere vissuto?
"Io stamattina sono andata a correre per sei chilometri. Stasera vado al cinema, esco tutte le sere. Lavoro come e più di prima. Certo, forse occorre fare più attenzione a certi aspetti, che sono però prevenibili e prevedibili. Il resto sono episodi che possono accadere a qualsiasi età. La vita ha comunque un termine, ma perché ingoiare gli stereotipi senza metterli in discussione? Sono nocivi più degli insaccati. Per tutti. Per le donne di più perché cominciano subito. Quelli sulla vecchiaia poi, uccidono. E bisogna combatterli come fossero un’infezione". linda meoni