La morte di Joann Zinkand si poteva evitare. "Se la diagnosi fosse stata tempestiva e i trattamenti sanitari attuati nei tempi di un contesto di urgenza, come è quello del pronto soccorso dell’ospedale". A dirlo chiaramente è stato il dottor Adriano Peris, direttore del reparto di terapia intensiva dell’ospedale fiorentino di Careggi e consulente incaricato dalla procura di Pistoia, che ieri mattina è stato ascoltato nel processo per la morte di Joann Zinkand, 74 anni, artista statunitense da anni residente a Pistoia, avvenuta la sera del 27 luglio 2019 all’ospedale San Jacopo. Per quella morte, sono imputati per omicidio colposo un medico e un’infermiera dell’ospedale di Pistoia: Paolo Mazzoni, 62 anni di Prato, difeso dall’avvocato Stefano Pinzauti, e l’infermiera Diletta Martini, 31 anni di Prato, difesa dall’avvocato Cristina Meoni, mentre l’Asl è rappresentata dall’avvocato Lucia Coppola.
Joann Zinkand, morì intorno alle 5 del mattino, al pronto soccorso dell’ospedale San Jacopo, nel quale era entrata alle 22 della sera precedente, perché accusava un forte dolore toracico. Secondo quanto ricostruito dagli operatori, la donna accusava una pancreatite, che sarebbe stata immediatamente trattata. Poi sarebbe sopraggiunto un ictus, e infine, due arresti cardiaci che non le avrebbero dato scampo. Diversa la ricostruzione resa dai consulenti incaricati dal pm Leonardo De Gaudio. "La paziente ebbe un’embolia polmonare sia al polmone destro che al sinistro – ha spiegato ieri mattina davanti al giudice Pasquale Cerrone, il dottor Peris – ma la morte sopravvenne per disidratazione. Se i sanitari avessero attuato un trattamento tempestivo, la morte si sarebbe potuta evitare. E’ evidente che la presa in carico della funzione del ’triage’ (la valutazione infermieristica) fu incompleta. Gli esami ematici furono svolti subito ma il loro utilizzo avvenne solo in una fase successiva, quando si era già deteriorata la situazione clinica". Soprattutto, la paziente, stando all’analisi del consulente, avrebbe raggiunto uno stato di grave disidratazione nel tempo, durante le ore di attesa passate in una barella del pronto soccorso. Per questo, la donna avrebbe dovuto essere sottoposta a un trattamento di reidratazione importante e avrebbe necessitato di un supporto ventilatorio. Accanto a lei, ad assisterla nelle ore di quella notte c’era un’amica, teste chiave nel processo, che più volte avrebbe richiamato l’attenzione dei medici. La nipote della vittima, Selah Kaiser, si è costituita parte civile ed è rappresentata dall’avvocato Andrea Gallori di Firenze. Il processo riprende l’11 novembre.
Martina Vacca