"Lux fuit" I marmi di Savelli in San Lorenzo

Le opere del grande scultore di Casore del Monte sono allestite davanti e nel chiostro della Basilica fiorentina fino al 31 luglio

Una luce che è "principio di salvezza", che prima ancora che parlare agli occhi parla all’anima, all’emozione più intima. In un lavoro d’ascolto che coinvolge prima di ogni altro l’artista stesso: "Perché il fare di Savelli più che un fare, un manipolare la materia, è un disporsi ad ascoltare i messaggi che la materia trasmette. Quali? Uno e uno solo: la luce. Che, da prigioniera della materia, chiede libertà e con Savelli la ottiene".

È una intima seduzione quella innescata dalle sculture marmoree di Enrico Savelli, artista di Casore del Monte in mostra fino al 31 luglio nello straordinario scenario fiorentino della Basilica di San Lorenzo, l’"ultima casa" del grande Donatello, subita anche dal noto critico d’arte e grande studioso quale Sergio Givone che ha accolto l’opera dell’artista pistoiese riconoscendone sì l’umiltà, ma anche la profondità di senso. Una profondità riscontrabile in ciascuna delle quattordici opere che popolano delicatamente il chiostro dei Canonici della Basilica, alle quali si aggiungono altre quattro sculture nel chiostro piccolo, più una, la più evidente nei suoi tre metri e trenta di altezza, che si staglia sul sagrato della Basilica, quasi manifesto di un fare arte che è cifra distintiva di Savelli.

Un’occasione certamente speciale per approcciarsi ai marmi del Savelli e scoprirne anche in questa sede lo stretto legame con la luce e, si direbbe, il divino. A curare la mostra, per la Nag Art Gallery di Pietrasanta, Fabrizio Borghini che attorno all’opera di Savelli ha condotto per anni un attento approfondimento.

"Savelli è un artista schivo e appartato che non ama le scuole e le correnti, che non rincorre nemmeno le mode e il mercato – ha detto Givone –. Ha avuto un unico committente: Dio. Ma anche un unico referente, dal momento che Savelli è convinto che l’arte non sia nelle mani dell’uomo. La sua enorme umiltà lo induce ogni volta a lasciare spazio all’opera, a mettersi al suo servizio. In Savelli tutto è lotta, tutto è conflitto, della luce e delle tenebre, della libertà e dell’inerzia della pietra. La pietra è pesante è forte, è dura e invece la luce, al contrario, è infinitamente leggera. La libertà o è grazia o non è nulla.

"Ecco perché – ha detto ancora il professor Givone – le sue opere che sono basate su questo conflitto di materia e spirito, di luce e tenebra, hanno questa leggerezza, questa levità e delicatezza che è propria dello spirito. Si può ben dire che tutto il lavoro di Savelli sia tutt’uno con il travaglio creaturale che attraversa il mondo e ne esprime l’ansia di salvezza. Come immaginare per una mostra delle opere di questo artista una collocazione più adeguata di San Lorenzo, la basilica in cui risplende il genio di Brunelleschi e in cui Donatello ha trovato sepoltura?".

"Ho imparato dall’esperienza che l’arte giunge improvvisa da regioni alte vestita di bellezza, per guarire le ferite dell’umano – è il pensiero di Savelli – . Così a me ha chiesto di creare un varco, nell’oscurità del marmo. Lo scalpello è divenuto spada che penetra nella foresta dei segni, in dialogo con la materia che partecipa e suggerisce quasi volesse spogliarsi e mostrarsi nella sua realtà più profonda e a un tratto appare la luce, come luce dell’alba. E ho imparato a leggere in quella luce che è canto di salmi, cinguettio di colori, forse le fattezze dell’umanità vera". La mostra, dal titolo "Lux fuit", resterà allestita fino al 31 luglio; la Basilica è accessibile al pubblico dal lunedì al sabato, dalle 10 alle 17.

linda meoni