LUCIA
Cronaca

"La morte io l’ho vista, ma ora sono felice" Dissekhua e la traversata della speranza

Dalla Costa d’Avorio a Pistoia in un mese. Oggi ha due lavori e sta scrivendo un libro sul suo viaggio, perché non vuole dimenticare niente

Lucia

Agati

C’è una cosa da cui non si separerà mai. E’ la felpa con cui è arrivato. Quella con cui è stato tirato su dal gommone. Era una notte di dicembre. C’è uno strappo davanti, al posto dello stemma rosso del Barcellona, tagliato via con un coltello. Quando vengono imbarcati viene detto loro che non devono avere niente di rosso, per via degli squali. Sono passati quasi sette anni da quella notte e Dissekhua Ananias Guehi non dimenticherà mai niente di quel mese che ha impiegato per arrivare in Italia. Niente. Sta scrivendo un libro. Appena ha un po’ di tempo tra i suoi due lavori (è magazziniere alla Gls e aiuto cuoco al BonodiNulla), si mette a scrivere, nella casa dove vive, ospite dell’amico pistoiese Ghigo, e riaffiora tutto, la paura, la bellezza.

Dove è nato?

"Sono nato 33 anni fa, il 14 agosto, ad Abidjan, è la capitale economica della Costa d’Avorio. E’ un paese sprofondato nella tragedia dal 2010 da quando è scoppiata la guerra civile, dopo le elezioni. La notte del 29 marzo del 2011 furono uccisi 800 ragazzi. Quella notte sono scappato in Liberia, 200 chilometri a piedi. Mi hanno accolto degli amici perchè nel campo profughi non volevo andare e con loro sono rimasto due anni. Poi sono tornato nel mio paese, ma la pace non c’era e non c’è ancora. Ma nel frattempo nessuno sapeva dov’era finito mio fratello Efraim, che oggi è in Germania. Pensavamo che fosse morto. Invece era in Libia. E’ per questo che sono partito. Per andare a cercarlo. Non avevo idea di quanto fosse pericoloso quel viaggio, ma l’ho fatto lo stesso. Era il 23 novembre del 2014".

Qual era la sua missione?

"Andare a prenderlo e poi tornare in Costa d’Avorio con lui. In Niger avrei trovato chi mi mi avrebbe condotto in Libia. Sono partito con un po’ di soldi che sarebbero dovuti bastare, perchè c’è sempre da pagare e io li ho dati sulla fiducia. Sulla strada per Agadez ci hanno fermato. Non avevo i documenti validi e mi hanno arrestato. Ho fatto un giorno di galera in condizioni spaventose. Venticinque persone in una cella. Quando mi hanno rilasciato mi hanno portato in mezzo al nulla, nel Burkina, finchè ho visto una piccola luce, era una moto. Mi ha dato un passaggio e mi ha lasciato dentro un villaggio".

Come è proseguito il viaggio?

"Ad Agadez tutti i lunedì parte un pickup dove possono salire fino a 18 persone. E’ un viaggio sincronizzato e tutti i pick up a un certo punto si ritrovano nella notte, nel deserto. Vidi tutte quelle luci che si riunivano. Erano uno spettacolo incredibile. Vidi il Sahara per la prima vola e mi resi conto di essere felice...Lo avevo studiato a scuola, la sabbia, le dune. Soffrivo, avevo sete, ma sono riuscito a vedere la bellezza del paesaggio. Ti danno due litri d’acqua che devono durare i sei giorni del viaggio. E’ il tuo oro. Mangiamo farina di manioca per non sentire la fame. Mi sono chiesto come potessero, le gomme del pick up, attraversare il deserto: le sgonfiano. Poi si arriva all’oasi, ed è lì che si danno appuntamento tutti i trafficanti di oro, di diamanti e di droga".

Ha trovato suo fratello?

"Sì. A Tripoli. Era stato maltrattato e ho pianto quando l’ho rivisto e ho pensato che era il momento di tornare a casa. Ma è lì che mi hanno detto che ormai non era più possibile tornare indietro e che dovevo andare avanti fino all’Italia. Abbiamo proseguito dentro un carro bestiame, poi ci hanno rinchiusi in un garage dove abbiamo pensato di morire".

Quando si è imbarcato?

"Siamo arrivati a cento metri dal mare la notte del 22 dicembre. Abbiamo gonfiato noi il gommone con la pompa a elio. Tre gommoni, 106 persone a bordo di ognuno. Ero il 107° e sul primo non sono potuto salire. Si è bucato ed è affondato a 200 metri dalla riva. Ho tenuto la bussola-gps e sono salito il 24 dicembre. Erano le 19.45. Un motore di 60 cavalli per 106 persone. Dieci barattoli di benzina e un barattolo con mezzo litro d’acqua a testa. Ci sistemano a bordo in modo che nessuno si possa muovere, altrimenti il gommone si ribalta".

Ci parli della traversata.

"Ho visto le luci di Tripoli allontanarsi. Poi non ho visto più nulla. E ho cominciato a pregare. Prima di partire avevo letto una pagina della Bibbia che è nascosta vicino alla riva, sotto un sasso, e dove l’ho rimessa per chi sarebbe venuto dopo di me. E’ in francese. Si è aperta sul Libro di Giosuè verso Canaan, la terra promessa. E allora mi sono detto: devo pensare a quando arriverò in Italia. Sarò felice e non devo guardare al pericolo dell’acqua. Piano piano con il freddo mi sono andate via le forze. Ma è quello il momento giusto per pregare. Il confine sul Mar Mediterraneo è il mare che si muove. Il motore è stato spento e in due ore la corrente ci ha portato in Europa. Al momento di riaccenderlo non è ripartito. Ma c’era un meccanico a bordo e ha pulito la candela. Alle 8 di mattina mi sono reso conto che stavo morendo di freddo. Il ragazzo che era accanto a me ha cominciato a picchiarmi per non farmi svenire. Poi ho sentito una voce: “Quanti siete? Ci sono bambini?“".