
Inchiesta "spese pazze". Condanna per Fusco
La sezione giurisdizionale della Liguria della Corte dei Conti ha condannato Marylin Fusco, 51 anni, residente a Montecatini, ex capogruppo dell’Italia dei Valori in consiglio regionale a Genova a pagare un risarcimento patrimoniale pari a 10.244,35 euro, oltre rivalutazione, e del danno di immagine pari a 10mila euro. La Procura regionale aveva chiesto in risarcimento complessivo per oltre 60nila euro. La vicenda nasce in seguito all’inchiesta "spese pazze", che ha visto condannare in via definitiva per peculato la donna a due anni e due mesi. Le somme relative ai rimborsi per attività istituzionale, in base alla sentenza definitiva sono stati utilizzati per altri fini, come consumazioni in bar e ristoranti e acquisti di cancelleria. L’inchiesta della guardia di finanza nel 2015 coinvolse Fusco e la collega Maruska Piredda. Dopo un lungo iter giudiziario la vicenda è stata ridimensionata in modo rilevante. La sentenza della Corte di Cassazione, nel 2022, ha condannato in via definitiva Nicolò Scialfa a 2 anni e 4 mesi e Marylin Fusco a 2 anni e 2 mesi per il reato di peculato, è caduto invece in prescrizione il reato di falso ideologico.
Una sentenza che chiude una vicenda giudiziaria dai numerosi colpi di scena, infatti dopo la condanna del Tribunale di Genova era arrivata una sentenza di condanna anche in Corte d’Appello, ma il provvedimento era stato annullato con rinvio dalla Corte di Cassazione. Nello stesso filone di indagini erano coinvolti anche altri 19 consiglieri regionali giudicati colpevoli in primo grado dal tribunale di Genova, ma tutti assolti nel giudizio di appello che si è concluso con la sentenza del 21 marzo del 2021. Le "spese pazze" degli ex consiglieri regionali liguri erano in realtà tutte lecite, in assenza di "parametri predeterminati dalla legge" per stabilirne la pertinenza con l’attività dei gruppi. Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello di Genova nelle motivazioni della sentenza che ha assolto tutti e 19 i politici locali, condannati a maggio 2019 per peculato e falso. Secondo il collegio di primo grado, gli innumerevoli pranzi, cene, viaggi e acquisti di doni e gadget addebitati alle casse pubbliche tra il 2010 e il 2012 erano rimborsabili solo se collocati "nell’ambito di iniziative alle quali il consigliere aveva preso parte su richiesta del proprio gruppo e in ogni caso limitatamente ad esborsi accessori a riunioni, incontri, convegni organizzati" dal politico stesso. In caso contrario, seppur "certamente legittimi", non per questo erano da considerare "un’attività politica i cui costi debbano essere sopportati dalla collettività".
Daniele Bernardini