"Ho avuto migliaia di figli, i miei studenti" Prof Rossella e il lungo addio alla scuola

Dopo 37 anni di insegnamento, Baldecchi lascia il liceo artistico Petrocchi, un bilancio di passione, dedizione e impegno

Lucia

Agati

E’ il 1985, settembre, una piccola donna bionda, dal viso che sembra un angelo, entra in classe. E’ l’aula Q della Scuola d’Arte. Quell’aula, che esiste ancora oggi nella sede storica del liceo artistico Policarpo Petrocchi, è finestrata su quattro lati. La città entra tutta dentro quel pilastro. Quella piccola donna angelica ha 26 anni, pochi più dei suoi allievi, ed è presa da un’ondata di terrore. Ma poi vede la sua città: il campanile del Duomo, il Battistero, la Cupola della Madonna dell’Umiltà. Respira forte e si dice: “Ce la posso fare” e comincia la sua prima lezione. L’ultima campanella per la professoressa Rossella Baldecchi, nata a Pistoia l’11 genanio del 1959, è suonata il 10 giugno. E’ una delle artiste pistoiesi più raffinate e apprezzate. E’ famosa per i ritratti di donna, volti che esprimono una sconfinata dolcezza che si libera da un tratto preciso, minuzioso e deciso. E’ capace di nascondere i segni della violenza più subdola e feroce in accenni simbolici di grande efficacia. Una donna così eterea e mite che sa diventare interprete perfetta delle azioni più malvage contro le donne. Rossella sa parlare del sangue con una coccinella, della morte con una corona di papaveri, ha la stessa profondità onirica dei Preraffaelliti, che adora. Rossella sa raccontare la guerra. E la pace.

Che mestiere facevano i suoi genitori?

"Erano albergatori: prima l’Hotel Milano e poi il Firenze. Il mio babbo si chiamava Vassilo, nome italianizzato, come usava all’epoca, da Vasilij, perchè mia nonna aveva letto “Guerra e pace “. La mia mamma si chiamava Evelina. Mio marito, Massimo Fallani, è stato anche lui insegnante, di educazione fisica"

Come è iniziata la sua carriera?

"Mi sono laureata all’Accademia delle Belle Arti di Firenze nel giugno del 1983, con una tesi sul rapporto tra l’arte e la fotografia nella pittura. Amavo e amo ancora, fare fotografie, pechè la fotografia aiuta a vedere le cose. Avevo anche un ingranditore, in garage. La mia grande passione era Degas. Gli impressionisti lavoravano en plein air, ma alcuni avevano tagli fotografici. Il professore mi disse che avevo ragione".

E quando ha fatto il suo ingresso nel mondo della scuola?

"Feci la mia prima supplenza nel 1985, l’anno dopo ebbi qualche incarico alle medie e nel 1987 venni confermata alla Scuola d’Arte, allora si chiamava così. I ragazzi dell’87 erano vicini a me, soprattutto quelli di quinta, ci correvano pochi anni e mi sentivo sotto osservazione. Ma ho sempre dato il massimo e ancora ci sentiamo. E’ un legame che non si è mai interrotto: sono stata ai loro matrimoni, ai battesimi dei loro bambini e ho avuto i loro figli in classe".

Che differenze ha visto tra i ragazzi di fine anni ’80 e quelli di oggi?

"I miei primi studenti erano più maturi. i ragazzi di oggi sono più infantili, più fragili emotivamente, meravigliosi di cuore, ma con meno strumenti per affrontare il futuro. In quinta un tempo erano donne e uomini, oggi sono ragazze e ragazzi, preparatissimi, tuttavia, il voto più basso è nove".

Che cosa ha insegnato?

"Ho insegnato discipline pittoriche e poi, fino a pochi giorni fa, design industriale. E’ una materia tecnica che gli studenti fanno con piacere ed è quindi difficile dare una insufficienza. E poi chi viene all’artistico è pieno di passione, e io la carico"

Cosa hanno rappresentato i suoi studenti per lei?

"I miei figli sono stati tutti i miei ragazzi, migliaia in tutti questi anni. Quando passeggio mi sento chiamare, sono cresciuta con loro, mi hanno dato tanto, è stata una esperienza meravigliosa. Capivo subito quando avevano un problema, un dispiacere e li ho sempre ascoltati. C’è sempre stata una grande empatia".

Quale messaggio si sente di dare ai genitori di oggi?

"Nella scuola ho visto tanti ragazzi cresciuti in ambienti difficili. Eppure ce l’hanno fatta con voti altissimi. Ho sempre cercato di aiutarli a vivere e a essere felici. E li ho sempre abbracciati quando ho visto che ne avevano bisogno. E’ l’amore la soluzione".

Lei come, artista, si è molto impegnata contro la violenza sulle donne...

"All’indomani dell’uccisione di Hevrin Khalaf, nell’ottobre 2019 ho dipinto un quadro. Hevrin, plurilaureata, era una politica curda, paladina dei diritti delle donne. Ho dipinto due volti, opposti e uniti: sul corpo di una l’accenno della divisa militare, l’altra con il corpo nudo e i graffi per la violenza subìta. Accanto alla combattente una pietra, simbolo della lapidazione e uno scorpione nero, simbolo degli assassini. Gli occhi coperti da una corona di papaveri, rossi come il sangue, per nasconderle lo sguardo davanti alla morte, accanto una farfalla azzurra, simbolo di vita. Ho sempre dipinto le tematiche difficili evitando tratti cruenti perchè si possono affrontare anche soltanto con i simboli".

Qual è la strada?

"Educare all’amore i figli. Se costruiamo amore è difficile che un giorno si possa fare del male a qualcuno".