"Mio figlio non aveva colpe. Era quello che volevo che fosse riconosciuto. Ora un cerchio si chiude. Per noi è stato uno strazio". La voce rotta dal pianto, la commozione alla fine di una battaglia durissima, a cui lei ha preso parte, in silenzio, udienza dopo udienza, sempre presente. Queste le parole di mamma Marina Mularoni (nella foto con il figlio Mattia), dopo la lettura della sentenza di primo grado del processo per la morte del figlio Michael Antonelli. E poi il ricordo dell’incubo che ha stravolto la vita di un’intera famiglia. Il lavoro lasciato, il mutuo per comprare una nuova casa che potesse ospitare suo figlio, ormai paralizzato, i debiti, la malattia, la solitudine.
"Di Michael si sono dimenticati molto presto. Quando mio figlio vinceva si parlava tanto di lui, ma dopo l’incidente nessuno ci ha aiutati. Nessuna parola dal mondo del ciclismo sia Sanmarinese sia italiano. Devo moltissimo al mio datore di lavoro, che mi ha aiutato tanto, e ai miei colleghi, che mi hanno donato le loro ferie per farmi stare a casa accanto a Michael, ad assisterlo giorno e notte. Poi c’è stato il processo, un’altra prova: ho voluto esserci sempre, ascoltare tutto, con mio figlio Mattia sempre con me. Oggi (ieri, ndr) ho avuto un po’ di giustizia per Michael".
"Una sentenza inaspettata – commenta l’avvocato Nuri Venturelli, legale della Federazione ciclistica italiana – perché a mio avviso vi era la prova che l’evento era avvenuto per l’eccessiva velocità tenuta dal ciclista. Faremo sicuramente appello. Quanto alle provvisionali così alte, quella è una valutazione del giudice. In sede civile, ci sono delle tabelle di individuazione del danno previste al livello nazionale e credo che le provvisionali assorbano quasi il massimo del danno risarcibile".
M.V.