LUCIA
Cronaca

Francesco Mati apre l’archivio Altoviti Avila "Racconto il cinema con gli occhi dello zio"

Un patrimonio storico di documenti e ricordi, la Guerra e il boom attraverso le foto di scena con Sofia Loren, Mastroianni e Gassman

di Lucia Agati

Ogni vita è un romanzo. E poi c’è chi lo custodisce. Nella memoria, negli scritti, nelle fotografie, dentro una vecchia valigia mai più aperta, ma con la certezza che una volta fatta scattare la serratura, ogni momento rivivrà e potrà essere consegnato alla Storia. Francesco Mati, 58 anni, figlio di Miro, imprenditore nella "piccola holding" di famiglia, possiede quei ricordi, indelebili, e quella valigia. Ogni tanto la prende in mano. Poi la rimette al suo posto senza aprirla. Ma quel giorno potrebbe non essere lontano, e sarà un’occasione per rileggere pagine mai abbastanza sfogliate, e consumate, percorrendo uno strabiliante albero genealogico che, lungo la linea materna, arriva addirittura alle Crociate.

In cosa consiste il suo patrimonio storico?

"Ho ereditato tutto l’archivio fotografico, scritti e documenti, del mio prozio Antonio Altoviti Avila, fratello di mia nonna. La mia bisnonna, l’ultima Altoviti, ebbe il permesso di mantenere il cognome da re Vittorio Emanuele. Lo zio Antonio ebbe una vita rocambolesca, come tutti quelli che sono passati attraverso la seconda guerra, e non soltanto lui".

Chi altri?

"La nonna materna Simonetta Niccolai Lazzerini, in Piccirilli, fu ricercata dalle SS, perché il suo nome fu rammentato a Radio Londra. Parlavano di una Simonetta, in Toscana. Lei scappò in bici, a Cutigliano, e si rifugiò in un serbatoio. C’era mezzo metro d’acqua. Era inverno. Poi raggiunse la casa di sua madre, si fece un bagno caldo, passò il confine di notte e arrivò a Modena, in un convento, lo stesso dove aveva nascosto un amico omosessuale. E poi nonna Lidia, sfuggita al bombardamento di uno Stuka mentre, in bicicletta, stava cercando di portare sei uova trovate da un contadino ai suoi bambini, che avevano fame. Si salvò gettandosi in un fosso e il bombardiere distrusse soltanto un fico. Ma questo non è che la punta dell’iceberg di quello che posso raccontare della famiglia".

Cosa faceva Antonio Altoviti?

"Lavorò negli archivi dell’Istituto Luce. Il suo primo documentario furono i bambini irrorati di Ddt per difenderli dalla malaria. Un uomo dalla cultura smisurata, era laureato in legge, e di grande simpatia, e di cui ho raccolto tutte le testimonianze. È morto nel 2002 dopo avermi consegnato tutti i suoi manoscritti. Quando rimase vedovo, negli anni Settanta, ritrovò un vecchio amico, il professor Piero Carrai, che ha vissuto fino a 101 anni. Era uno dei fondatori del Meyer. Il primo chirurgo a separare due gemellini siamesi. Viaggiarono insieme, vissero insieme sulle colline di Firenze. E tutto quello che mi hanno raccontato io lo ricordo con una lucidità incredibile. Mio zio è morto nel 2002".

Le manca ancora una figura così?

"Mi manca molto. A volte mi sveglio pensando di andare a trovarlo. Aveva 92 anni e il cuore di un fanciullo. Un giorno, novantenne, mi venne a trovare: mimetica, clarks e maglietta con la scritta I love New York. Io giocavo con la play station. Si sedette incuriosito accanto a me e giocammo tutto il pomeriggio. Questo era lui".

Quali documenti le ha lasciato?

"Mi ha lasciato un archivio unico. Con le foto storiche della famiglia Altoviti. Foto di scena dello zio con Sofia Loren, Mastroianni, Gassman a Londra con Sharon Tate incinta...“Vedi mi diceva, non la inquadrano mai intera, altrimenti si vedrebbe la pancia“. Stavano girando “Una su tredici“. Poco dopo lei morì, sappiamo come. Ci sono foto di scena con Anthony Quinn, con Gina Lollobrigida. Antonio era diventato direttore di produzione della Carlo Ponti. Finita la guerra ci fu il boom del cinema i costi di produzione erano bassi. Ci fu il Neorealismo e l’amicizia con Pasolini. Tutto questo lui l’ha vissuto".

Cosa vorrebbe fare di tutto questo straordinario materiale?

"Ho a lungo pensato, e penso, di scrivere un libro sulla storia del cinema attraverso gli occhi di mio zio e mi piacerebbe anche una mostra, qui, a Pistoia".

Dove arriva il suo albero genealogico?

"Il ramo materno arriva molto lontano. Arriva a Bindo Altoviti il cui busto, del Cellini, è al National Museum di Washington, dove si trova anche, di lui, un ritratto eseguito da Raffaello. E ancor prima c’è un Bindo alle Crociate".

Non si sente disorientato con una vita così immersa nella Storia?

"Mi capita di pensare spesso alla teoria dei sei gradi di separazione quando penso a tutti gli intrecci di questo ramo della mia famiglia. Ho una foto della spedizione inglese che scoprì la tomba di Tutankhamon: il cuoco era il padre di una bis-cugina dello zio Antonio".