Delitto della Ferruccia: "Maiorino sapeva dettagli noti solo agli inquirenti"

Ecco perché per i giudici del tribunale fiorentino l’uomo deve restare in carcere "Sussiste il pericolo grave, concreto e attuale che possa uccidere ancora".

Soltanto l’indagato poteva conoscere la natura delle lesioni riscontrate esclusivamente in sede di autopsia sul corpo straziato di Alessio Cini: Maiorino, nel soliloquio in macchina intercettato dagli inquirenti l’11 gennaio del 2024: "Indica la rottura dello sterno e del costato mentre già nell’immediatezza dà per scontato che il combustibile utilizzato per l’abbruciamento della vittima sia benzina, circostanza che si accerterà solo nel prosieguo delle indagini. Non si tratta, dunque, di soliloqui in cui il Maiorino si immedesima in quello che egli ritiene essere l’assassino del cognato, ma, più realisticamente, di soliloqui nei quali affronta quanto accaduto per trovare delle giustificazioni da proporre agli inquirenti". E’ un passo dell’ordinanza con cui i giudici del tribunale distrettuale del riesame di Firenze hanno interamente confermato l’ordinanza emessa dal gip del tribunale di Pistoia, Patrizia Martucci, che aveva accolto la richiesta di misura cautelare in carcere del pm Leonardo De Gaudio dopo il fermo di Daniele Maiorino, 58 anni, originario di Prato e residente alla Ferruccia di Agliana, in via Ponte dei Baldi, dove, all’alba di lunedì 8 gennaio 2024, si è consumato un delitto atroce con l’uccisione, a bastonate, di un uomo inerme, Alessio Cini, 56 anni, tecnico tessile della Microtex di Prato.

Cini era appena rientrato a casa dopo essere andato a riempire una tanica di benzina al distributore vicino. Quella stessa benzina che l’indagato avrebbe utilizzato per dar fuoco al corpo di Alessio, che ancora respirava. Quella stessa tanica esplosa poco dopo, dando luogo al bagliore percepito dalle numerose telecamere installate nella zona in quei pochi minuti, prima delle sei, in cui è avvenuta la tragedia. I giudici si soffermano su un aspetto evidenziato dalla difesa di Maiorino, assistito dagli avvocati Katia Dottore Giachino e Fulvia Lippi di Prato, e cioè la mancanza di tracce ematiche sugli abiti consegnati da Maiorino ai carabinieri: "Gli abiti – scrivono i giudici – sono stati consegnati alle 14.30 dell’8 gennaio, quando il Maiorino rientrava nella sua abitazione, ossia a distanza di più di otto ore dalla commissione dell’omicidio. Si tratta di un lungo lasso di tempo durante il quale egli ben avrebbe potuto disfarsi degli abiti indossati al momento dell’aggressione". Per i giudici del riesame: "Sussiste il pericolo grave, concreto e attuale che Maiorino possa commettere altri gravi delitti della stessa specie. Si tratta di un fatto gravissimo che crea particolare allarme sociale, atteso che il Maiorino non solo non ha esitato ad aggredire mortalmente con estrema violenza e crudeltà il Cini, ma gli ha dato fuoco quando era ancora vivo. "Si tratta di condotte sintomatiche della completa insensibilità per la vita altrui, tanto più se si ha riguardo all’assoluta futilità dei motivi (economici) che hanno scatenato la sua furia cieca. A ciò si aggiunga che Maiorino è assuntore di sostante stupefacenti, come da lui stesso dichiarato in sede di interrogatorio, circostanza questa che concorre a spiegare le sue precarie condizioni economiche". Per i giudici i domiciliari sono insufficienti: "A fronteggiare il pericolo di reiterazione criminosa per la sua assoluta mancanza di autocontrollo ed efferatezza".

l.a.