
L'avvocato Benedetta Berardinelli con Bogdana Vessellinova
Pistoia, 7 dicembre 2018 - «Questo è un processo unico. Un processo per maltrattamenti che si celebra non davanti al giudice monocratico ma davanti alla Corte d’assise, e in cui, soprattutto, il racconto dei fatti non ci viene riportato dalla vittima: tutto questo perché la persona offesa non c’è più, è morta. Ma è anche unico, perché il quadro di quei maltrattamenti è un mosaico composito, tracciato non da un famigliare o da una persona vicina, ma dal vasto coro delle persone del quartiere che conoscevano la vittima e che, giorno dopo giorno, l’hanno vista deperire e spegnersi, con impressi i segni di una violenza quotidiana».
Con queste parole il pubblico ministero Giuseppe Grieco ha iniziato ieri, davanti alla Corte d’assise di Firenze, la sua lunga requisitoria per la morte di Antonio De Witt Molendi, l’ex vigile del fuoco trovato senza vita e coperto di ecchimosi, nel suo appartamento di via Ferrucci, la mattina del 5 febbraio 2017. Per quella morte, il pm che ha diretto le indagini della Squadra Mobile, ha chiesto la condanna a 17 anni della moglie, Marinova Bogdana Vessellinova, 51 bulgara, che lo avrebbe picchiato fino allo sfinimento, per poi abbandonarlo a terra, nella sua camera da letto sporca di urina, con il naso rotto, seminudo e in preda a una crisi cardiaca che lo ha portato alla morte. La donna è accusata del reato di maltrattamenti aggravati dalla morte (articolo 572, secondo comma).
Ed è sulla causa di questa morte che si gioca tutto il processo. Secondo il pubblico ministero, questa sarebbe stata la conseguenza di uno stato di prostrazione e di assoluta debolezza in cui le percosse inflitte dalla moglie avrebbero ridotto l’uomo, annientato fisicamente (22 le lesioni riscontrate dai medici sul suo corpo) e moralmente (dalle umiliazioni, come quella di accettare la presenza di altri uomini in casa, partner occasionali della moglie). Una violenza (come le «mani gonfie e l’orecchio tumefatto, che restituiscono un’immagine grottesca su un corpo smagrito»), di cui sarebbero stati spettatori gli amici e conoscenti del quartiere che hanno sfilato in aula.
Come nel film «Rashomon» di Akira Kurosawa, citato dal pm, in cui la morte di un contadino viene narrata dai vari punti di vista dei co-protagonisti. Il pm ha citato come testimone chiave il ragazzo egiziano che frequentava Bogdana (dal 2013 al 2015) e che ha raccontato di averla vista picchiare De Witt con la cinghia.
E si arriva alla sera del 4 febbraio 2017. Partendo dall’analisi del perito di parte, dottor Giuliano Piliero, il pubblico ministero, ha fatto sua la tesi che De Witt sia morto in conseguenza di una crisi ischemica (in un contesto di assoluta debolezza, provocata da una sequenza spaventosa di percosse) durata dalle due alle quattro ore (non dunque una morte istantanea, come precedentemente sostenuto), durante la quale sarebbe caduto a terra, senza che la moglie lo aiutasse, né in quel momento né nelle ore successive, fino alle 8 di mattina del giorno dopo, quando per la prima volta la donna chiamò il 118, molte ore dopo, evidentemente, la morte del marito. Ed è quello che non avrebbe fatto a inchiodare, secondo la ricostruzione dell’accusa, Bogdana. Per questo il pm ha chiesto alla Corte di considerare, in alternativa, la possibilità di riqualificare il reato in quello di maltrattamenti e «abbandono di persona incapace» (articolo 591del codice penale, che prevede una pena fino a 8 anni). Dalle 21,45, ora in cui le vicine di casa dicono di aver sentito il tonfo dall’appartamento dei De Witt, Bogdana farà diverse telefonate, due al figlio, fino alle 23, e una alle 4 di notte ad un’amica. Ma nessuna per chiedere aiuto.
LA DIFESA: "NON CI SONO PROVE. MORTE NATURALE: ASSOLVETELA" - La difesa ha chiesto l’assoluzione sia per l’ipotesi di maltrattamenti sia per quella dell’aggravante della morte (articolo 572 secondo comma), non ritenendo provati né i maltrattamenti né il nesso causale con la morte stessa. L’avvocato Benedetta Berardinelli (foto), che difende Bogdana Vessellinova, nella sua arringa, ha spiegato come in tutta l’istruttoria non sia mai stata provata la pluralità di condotte (che integra il reato di maltrattamenti).
«Nessun testimone ci ha detto di aver visto Bogdana colpire più volte De Witt. Lo stesso ragazzo egiziano ha raccontato un unico fatto e lontano nel tempo (almeno due anni prima). Né ci sono testimoni che abbiano mai assistito di persona a un litigio tra marito e moglie. Quanto alla morte, De Witt soffriva da anni di epilessia, di una patologia psicotica e di parkinson. Le lesioni, prodotte in vita, potrebbero essere conseguenza degli attacchi di cui soffriva e non sono databili con certezza. Infine, sulla crisi ischemica, lo stesso medico della procura, Alberto Albertacci ha evidenziato un’ostruzione all’arteria coronaria destra rilevante».
Ancora, in merito alle perizie, secondo l'avvocato Berardinelli: "Nell'esame tossicologico, non è stata richiesta la ricerca della presenza di un farmaco anti coagulante, come l'aspirinetta, che avrebbe potuto ben giustificare la diffusione di ecchimosi, in conseguenza di una caduta, per esempio. Riguardo alla tracce ematiche, queste sono state riscontrate solo sulla spalliera del letto, mentre non sono state fatte ricerche nelle altre stanze dell'appartamento, come la sala, dove De Witt si sarebbe potuto ferire accidentalmente. Infine, una domanda: quale vantaggio economico avrebbe avuto Bogdana a provocare la morte del marito? Oggi la donna vive con una pensione di reversibilità, mentre l'appartamento di via Ferrucci, dove in questo momento si è stabilita la sorella, era stato intestato come nuda proprietà al figlio". Respinta dalla Corte la richiesta di revoca o attenuazione della misura del carcere. La sentenza è attesa per il 13 dicembre.