Di conoscere il minimo dettaglio sugli accertamenti relativi all’assassinio di Romana Bonacchi, massacrata a coltellate nella sua villa di Quarrata nel febbraio ’96, nemmeno a parlarne. Riserbo e profilo basso sono il marchio della casa. Del resto, gli esami specifici sui reperti raccolti dai carabinieri sulla scena del delitto – allora e anche di recente dopo la riapertura del ‘cold case’ della Ferruccia – ufficialmente devono ancora iniziare. Il laboratorio di diagnostica genetica dell’ospedale di Careggi diretto dalla dottoressa Elisabetta Pelo, e in particolare la sezione di genetica forense sotto la responsabilità del biologo Ugo Ricci, da pochi giorni sono stati incaricati dal sostituto procuratore Grieco di periziare le tracce ematiche e biologiche riguardanti l’omicidio di quasi 25 anni fa. Le risposte dovrebbero arrivare in procura a Pistoia entro marzo, salvo proroghe.
Ma cosa è cambiato dal 1996 ad oggi nella ‘caccia’ al Dna dei responsabili di atti criminosi? Molto, anzi di più. Su questo aspetto qualche risposta il dottor Ricci, lo stesso perito che lavorò al delitto Bonacchi per conto della procura nel ’96 (ma anche di recente al giallo dei cadaveri nelle valige di Sollicciano), può fornirla.
Intanto, il laboratorio di Careggi attivo dal 2012, è accreditato a livello internazionale con attestazione Iso 17025, certificato riconosciuto dai severi ispettori di Accredia, ente unico di accreditamento nazionale. Assieme a polizia scientica, Ris carabinieri e a un pugno di altre istituzioni medico-scientifiche, il laboratorio fiorentino con i suoi cinque specialisti è tra i pochissimi in Italia a garantire analisi del Dna con qualità d’indagine di livello mondiale. L’Italia, buona ultima in Europa, solo nel 2017 si è dotata di una banca dati del Dna, rendendo finalmente possibile inserire un qualsiasi profilo di patrimonio genetico nel circuito internazionale, dove quindi avviene un confronto alla ‘uno contro tutti’. Il Dna sotto esame e in quel momento ‘ignoto’ viene paragonato con tutti quelli archiviati nelle banche dati mondiali alla ricerca di più ‘match’ possibili, ovvero di corrispondenze che possano rivelare il nome di ladri, rapinatori, assassini.
Tornando al delitto del ’96, il perfezionamento delle tecnologie e la raffinazione degli strumenti d’analisi potrebbero ‘far parlare’ capelli, peli, macchie di sangue e altro in maniera assai più eloquente e profonda e, si spera, esaustiva in confronto a quanto fu possibile fare all’epoca del delitto.
Simone Boldi