
Il Registan di Samarcanda
Tashkent (Uzbekistan), 10 dicembre 2019 - Il cielo della città di Samarcanda è più blu: pare sia merito dell’inclinazione dei raggi solari pronti a baciare questo magico angolo dell’Asia. La volta è turchese e luminosa come la stupefacente cupola che sovrasta il mausoleo che ospita i resti del condottiero Tamerlano. Tutto è celeste come i lapislazzuli che delineano i mosaici delle scuole coraniche del Registan, la piazza-monumento che sussurra al cuore favole da «Mille e una notte». Samarcanda è una canzone o forse, ancor meglio, una poesia i cui versi sono impressi sulla seta e viaggiano su antiche e lunghe carovane di cammelli e commercianti attraverso i secoli. Samarcanda è un profumo intenso di spezie che dalla Cina giungono in Europa esplodendo stuzzicanti nelle narici. Samarcanda è Bibbia, Corano, Marco Polo: immutabile, misteriosa e bellissima.
La città sulla Via della Seta – una delle più antiche del mondo – è una delle numerose perle dell’Uzbekistan: un paese che il cui nome suona distante solo per chi non l’ha vissuto. Difficile quantificare con esattezza le ore di volo per giungervi ma è sempre possibile fare scalo a Mosca o a Istanbul concludendo la traversata nella capitale Tashkent senza bisogno di alcun visto. Ad attendervi una metropoli di oltre due milioni di abitanti molto meno caotica di quanto sia lecito attendersi. Vasti viali tracciati dal regime comunista si alternano ordinati ai luoghi più antichi come l’area della Barak-Khan Madrassah che, al calare del sole, allunga le ombre dei suoi minareti direttamente sull’anima. Qui si trova anche il Corano più antico del mondo ancora marchiato col sangue. Passeggiare per Tashkent non offre alcuna preoccupazione al turista (anche solitario) se non quella di avere una macchina fotografica ben carica per immortalare le moschee o le colorate merci esposte al Chorsu Bazaar, un immenso mercato. Qui anche il cibo diventa esperienza: puoi assaggiare il Plov (un piatto a base di carne e riso, usuale come da noi un piatto di pasta) e i gustosi «Shashlyk», spiedini alla griglia che stanno al nostro kebab come una pizza di Napoli ad una di Berlino. E poi c’è il thé di un delizioso giallo intenso con il limone. A Tashkent (città dove ogni anno si tiene la Fiera internazionale del turismo che ha ospitato una delegazione di giornalisti da tutto il mondo) tutti si salutano come vecchi amici: «Anche se in realtà non ci siamo mai conosciuti» e gli abitanti possono fermati per chiederti una foto perché il turista è una piccola festa. Per noi europei tutto costa poco ma in Uzbekistan non ci si confronta direttamente con la povertà.
Poco oltre la capitale, inoltrandosi verso il confine con il Kirghizistan, la pianura lascia il posto ai monti del Tien Shan con le loro vette poetiche. I vasti panorami spaziano per chilometri raccontando le immensità dell’Asia mentre la moderna funivia di Amirsoy lascia senza fiato una volta giunti oltre i duemila metri, sembra di dominare il monod. Tornati nella capitale un treno veloce conduce a Samarcanda in due ore. Qualche ora in più richiede raggiungere Bukkhara e Khiva, altre strepitose città lungo la via della Seta.
Ma è l’ospitalità quella che resta nel cuore: quei i sorrisi negli occhi leggermente allungati e i deliziosi piccoli inchino ogni volta che dici loro: «Rahmat». Ovvero l’unica parola che pensi ogni istante in cui ti trovi in Uzbekistan: «Grazie».