Raro cimelio dannunziano da Pisa al "Vittoriale"

E’ la lettera del 1917 nella quale il Vate utilizza per la prima volta questo termine. Donata dal collezionista Menchini Fabris alla Fondazione guidata da Giordano Bruno Guerri

Mentre la città di Pisa ancora esita nel valorizzare la sua relazione con Gabriele d’Annunzio, sinora solo a sprazzi ricordata come nel caso del Porto di Pisa, dove la poesia Tenzone fa da arredo urbano sul lastricato della banchina, questo legame in qualche modo si ritrova simbolicamente in una importante donazione al "Vittoriale" a Gardone Riviera, sulla sponda bresciana del lago di Garda. Autore della donazione è stato un pisano, Filippo Menchini Fabris, noto medico e collezionista. Si tratta della lettera che il Vate scrisse il 15 marzo 1917 a Giannino Omero Gallo nella quale adopera, per la prima volta, il nome "Vittoriale".

La fotografia del documento ha fatto da sfondo alla cerimonia del XII Premio Vittoriale che si è tenuta sabato a Gardone Riviera. Presente all’evento, Menchini Fabris racconta: "Per i Cento anni del Vittoriale, ci è sembrato interessante che il documento in cui per la prima volta il suo nome viene utilizzato tornasse a casa sua. Questa donazione è il frutto della conoscenza che abbiamo avuto con il presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri, che ha dimostrato subito interesse e disponibilità a incontrarci. Ci ha colpito l’attenzione alla cura del Vittoriale che, da struttura immobile, ha saputo rendere viva, dinamica e portatrice di novità nel panorama culturale nazionale e internazionale".

Nella lettera, su carta intestata col motto "Io ho quel che ho donato", d’Annunzio ringrazia Gallo per avergli inviato i suoi "due tomi di guerra" e gli scrive: "Mi piace. Il suo libro potrebbe essere chiamato come un vecchio libro spagnuolo di avventure eroiche del quale ora ho una memoria confusa: il Vittoriale". In un secondo momento, d’Annunzio ci ripenserà e racconterà: "Gli proposi di chiamarlo Vittoriale. Ma tanto mi piacque che volli serbarlo per me, se oggi io vivo il mio Credo". Della lettera donata al Vittoriale si parla anche nel libro "Cento anni di storia del Vittoriale degli Italiani. L’incantevole sogno" scritto di recente da Valentina Raimondo con l’introduzione di Giordano Bruno Guerri: "Questa – spiega la studiosa - è una scoperta importante. Già nel 1917, d’Annunzio aveva quindi in mente di realizzare un’opera intitolata Vittoriale. Non sappiamo se stesse pensando di adoperare il nome per un luogo, è più probabile che lo volesse usare per un’opera letteraria. Alla fine, lo userà per il ‘libro di pietre vive’ che è la sua dimora e che è la sua ultima grandiosa opera d’arte".

"Ci inorgoglisce – commenta Filippo Menchini Fabris – poter dare il nostro contributo a un pezzo importante di storia italiana". Non è questo, tra l’altro, il solo contributo che la famiglia Menchini Fabris offre al pubblico. Da sempre, alle (invero) poche mostre pisane questi collezionisti partecipano mettendo a disposizione i pezzi del proprio patrimonio, come a quella che l’Archivio di Stato dedica a Dante (in corso fino al 10 ottobre) o alcune a Palazzo Lanfranchi. Una grande messe di cimeli e documenti del fondo Menchini Fabris era stato inoltre esposto nella bellissima mostra "I segni della guerra" che Palazzo Blu aveva allestito nel 2015 per il Centenario della Grande Guerra. "D’Annunzio – spiega ancora Filippo Menchini Fabris – rappresenta una parte della nostra collezione che comprende, ad esempio, le sue fatture della Versiliana da cui emergono molto curiosità, come per esempio le sue spese per mantenere i cani. Sarebbe interessante se tutto questo potesse confluire in un libro".

Eleonora Mancini