"Giovani più violenti? Si sentono invisibili"

Risse, vandali e mala-movida, il fenomeno analizzato dalla psicologa Cotroneo: "La paura del futuro fa esasperare i comportamenti"

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di Francesca Bianchi

Gli eccessi e l’aggressività che scoppia dopo i mesi del lockdown. Il ‘liberi tutti’ che nei ragazzi, anche giovanissimi, sta trascinando con sé atti di vandalismo (nel mirino anche gli stabilimenti del nostro litorale), risse pianificate (via social e whatsapp) e convocate per puro divertimento, notti brave dove l’abuso di alcol diventa la normalità. L’estate post Covid è iniziata con il ‘bollino rosso’. Un disagio giovanile che è sotto gli occhi di tutti, da sempre sottotraccia e ora accentuato dal prolungato isolamento tra dad e quarantene. Ma non solo: "E’ la paura del futuro, l’incertezza ad esasperare i comportamenti". A far degenerare in violenza e devastazione una semplice serata tra amici. Simona Cotroneo, psicologa e psicoterapeuta, responsabile del Progetto Fair Play di Paim, prova a rispondere alla domanda che tutti ci stiamo facendo: "Perchè?".

Dottoressa, l’impressione è che il ritorno alla libertà sia vissuto all’insegna dell’esagerazione. Come mai?

"Perché in realtà i giovani faticano ad afferrare questa libertà solo apparentemente ritrovata e restituita. Si sentono invisibili, schiacciati e la reazione può essere duplice: il ritiro dal mondo, la chiusura verso le relazioni che è stata particolarmente evidente durante e dopo il primo lockdown, oppure l’esatto opposto. La maggior parte degli adolescenti adesso è come se cercasse di recuperare quel che sente di aver perduto andando contemporaneamente alla ricerca del proprio posto nel mondo. Ma lo fa in un modo incontrollato. E questo è determinato proprio dalla paura del futuro che porta all’aggressività".

Le risse sono un esempio?

"Da una parte c’è l’autolesionismo, fenomeno che è aumentato tantissimo in epoca Covid, dall’altra la tendenza ad aggredire l’altro. Tutto questo viene fatto ricercando la massima visibilità. Non è un caso che le risse si svolgano sempre in luoghi frequentati, nelle piazze, e tutto venga riversato quasi in tempo reale sui social e nelle chat. Sentiamo parlare dei ragazzi quasi unicamente per atti vandalici, bullismo, episodi di omofobia. Ci dobbiamo chiedere perchè e intervenire".

E’ un problema che coinvolge tutti. Non solo i giovanissimi.

"Esattamente. E’ un problema politico. Ed è chiaro che serve creare un’alternativa al virtuale. Parlando con i ragazzi, in questi mesi, ho sentito più volte dire: ‘Preferisco chattare e postare un video o una storia anzichè uscire per vedere un amico o mangiare un gelato’. I ragazzi si sentono protetti dal virtuale ma in realtà è l’esatto contrario". Cosa è possibile e necessario fare?

"Investire molto di più sui giovani che adesso stanno dimostrando tutta la loro fragilità, privi degli strumenti per affrontare le difficoltà, la frustrazione, il senso di fallimento, la perdita. E la scuola è il primo tassello: deve essere intesa e ripensata come spazio di crescita e aggregazione, vera, per i ragazzi. E’ qui che possono tornare ad affermare se stessi, esprimersi e prendere decisioni. La scuola d’estate è un’idea buona, se gestita bene, non proposta in modo approssimativo come vedo in giro in queste settimane. Il progetto non deve essere quindi essere abbandonato dopo l’emergenza sanitaria ma anzi, potenziato. Coinvolgendo forze diverse, non solo gli insegnanti e dando la scuola in mano proprio ai ragazzi".

E gli adulti? Le famiglie?

"L’incertezza rispetto al futuro, il timore di non farcela, ora più che mai, riguarda tutti. Condividere con i propri figli lo stato d’animo crea quella relazione empatica che è uno strumento importantissimo per superare questa fase. Può aiutare i ragazzi a sentirsi meno soli, rendendo la paura meno esplosiva".