
di Giuseppe Meucci
PISA
E’ un tempo lontano quello dei primi anni settanta. Ma la cronaca recente ha riportato in primo piano eventi e personaggi che da allora sono incisi nella memoria della città e lì rimangono a ricordarci una drammatica stagione pisana che ebbe il suo culmine con la morte di Franco Serantini, il 7 maggio del 1972. Fu la prima tragica conseguenza di quanto era andato in scena due giorni prima, quando cominciò a svolgersi quella trama che oggi ha di nuovo messo sotto i riflettori Giorgio Pietrostefani, latitante a Parigi, allora leader con Adriano Sofri di Lotta Continua e insieme a lui condannato quale mandante dell’omicidio del commissario Calabresi commesso a Milano ma deciso a Pisa in quei giorni. Quel 5 maggio si era alle ultime battute della campagna elettorale e in Largo Ciro Menotti era previsto il comizio del missino Beppe Niccolai. Lotta Continua aveva tappezzato la città con manifesti molto espliciti. “Cascasse il mondo su un fico, Niccolai a Pisa non parlerà”, c’era scritto. Pochi giorni prima a Rimini si era concluso il convegno di quel movimento di estrema sinistra e uno dei temi dominanti era stato quello di ritenere “la lotta armata per la presa del potere la prospettiva concreta di una nuova fase storica”. Più esplicito ancora il documento conclusivo ispirato dalla cosiddetta ala “militarista” di Lotta Continua, ispirata da Giorgio Pietrostefani. Vi si poteva leggere, fra l’altro, “… Occorre preparare il movimento a uno scontro generalizzato, con un programma politico che ha come avversario lo Stato ed ha come strumento l’esercizio della violenza rivoluzionaria, di massa e d’avanguardia”. Inoltre si sosteneva la necessità di “realizzare la violenza direttamente, come avanguardia e in modo organizzato, in primo luogo contro i fascisti”.
Già nel primo pomeriggio del 5 maggio il centro di Pisa era invaso dai dimostranti mentre in largo Ciro Menotti il palco da cui doveva parlare Niccolai era presidiato da decine di poliziotti. Al primo tentativo di assalto la polizia reagì e si scatenò l’inferno. Per ore Pisa fu teatro di una vera guerriglia urbana, sia nelle strade intorno a largo Ciro Menotti sia nei Lungarni. Furono lanciate decine di bottiglie Molotov e lacrimogeni. Si innalzarono barricate con auto trascinate in mezzo alla strada e in più di un’occasione si arrivò allo scontro diretto fra forze dell’ordine e dimostranti. Durante uno di questi scontri, in Lungarno Gambacorti, fu massacrato di botte dalla polizia e poi arrestato insieme a molti altri il giovane militante anarchico Franco Serantini, che due giorni dopo, il 7 maggio, morì in carcere per le gravi lesioni riportate. Aveva vent’anni e fu lui la prima vittima di questa ventata di follia che sconvolse la città. Era figlio di NN, vissuto prima nei brefotrofi e poi negli istituti di rieducazione, come il “Thouar” di piazza San Silvestro sua ultima dimora. Il senatore Umberto Terracini ne riassunse in poche righe su Rinascita la tragica fine: “I poliziotti hanno massacrato a mazzate il giovane sventurato; i carcerieri lo hanno abbandonato senza cure nella sua straziante agonia; e infine un giudice ha creduto di non accorgersi che interrogava un morente”. A queste parole si può aggiungere che un altro giudice archiviò ogni indagine sugli autori di quel pestaggio mortale “perché ignoti”. Una settimana dopo la morte di Serantini si tenne a Pisa in suo ricordo una grande manifestazione di Lotta Continua in piazza San Silvestro e in quell’occasione, secondo la sentenza che li ha condannati, Sofri e Pietrostefani dettero l’ordine a Leonardo Marino e Ovidio Bompressi di “giustiziare” il commissario Calabresi per vendicare la morte di Serantini. Ed è Luigi Calabresi la seconda vittima di questa storia pisana di quasi mezzo secolo fa. Accusato da Lotta Continua di essere lui il responsabile della morte dell’anarchico Pinelli tre anni prima, Calabresi fu raggiunto sotto casa a Milano e abbattuto a colpi di pisola. Era il 17 maggio 1972, dieci giorni dopo la morte di Serantini. L’indomani il giornale di Lotta Continua uscì con questo titolo: “Ucciso Calabresi, il maggior responsabile dell’assassinio di Pinelli”. E nel testo si poteva leggere che quell’omicidio era “un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia.”