DAVID ALLEGRANTI
Pecore Elettriche

Il migliore Jonathan Franzen

È uscito da poco Crossroads (Einaudi). Secondo Bookforum è il libro più riuscito di Franzen

Jonathan Franzen

Si può voler bene a Jonathan Franzen, ai suoi romanzi, soprattutto all’ultimo, Crossroads, appena uscito per Einaudi con traduzione di Silvia Pareschi - per Bookforum è il migliore della sua produzione letteraria - senza per questo condividere i suoi toni apocalittici sulla tecnologia e lo spasmodico interesse per il birdwatching? I neo puritani direbbero di no, che non c’è separazione fra il personale e il pubblico, ma noialtri qui ci accontentiamo di vivere nelle aree grigie, insieme a tutti i nostri dubbi e alle nostre aspettative da soddisfare quando uno scrittore come Franzen pubblica un nuovo libro.

Pochi scrittori oggi sembrano avere dimestichezza con le dinamiche famigliari come Franzen; con le tensioni, le delusioni, le incomprensioni, gli odi, le opportunità mancate. Soprattutto, le opportunità mancate. I personaggi della famiglia Hildebrandt, al cui vertice - si fa per dire - c’è il reverendo Russ, pastore di una chiesa locale a New Prospect, immaginaria e immaginifica cittadina di Chicago, sembrano tutti aver perso un treno. Avrebbero potuto essere altrove, invece sono lì che soffrono perché sono dove non vorrebbero essere e forse neanche dove dovrebbero. Chiusi in relazioni tossiche, o semplicemente sbagliate, come Russ con la moglie Marion, che impediscono di essere se stessi, anche nei propri aspetti peggiori. Chi l’ha detto d’altronde che dobbiamo per forza essere migliori in relazione all’altro? Non potremmo semplicemente rivelarci per la delusione che siamo e che rappresentiamo per chi ci sta intorno, senza farsi problemi di piacere alla propria famiglia? Russ è l’emblema di questa tensione, fra l’onorare Dio seguendo la sua etica religiosa e lo sbracare dietro alle incontrollate pulsioni (sessuali ma non solo).

Su Rivista Studio, Francesco Longo ha scritto che è tornato il caro vecchio Franzen. Un autore tradizionale, che scrive romanzi tradizionali, mentre tutto intorno svolazza e cresce e prospera il romanzo ibrido, a metà fra una storia verosimile, l’autobiografia e l’epica impersonale. Longo coglie un punto ma si possono anche amare entrambi i generi, purché gli autori sappiano essere costantemente diversi da se stessi (il rischio di essere Emmanuel Carrère è l’autocompiacimento). Franzen è effettivamente tornato, con un romanzo che è il primo di una trilogia, dove si narrano le vicende - il primo è ambientato nel 1971 - di una famiglia numerosa nella quale ognuno degli Hildebrandt sogna per sé una vita diversa da quella che attualmente vive. Con la differenza sostanziale che mentre Russ è un adulto capo famiglia, i figli sono troppo giovani per vedere distrutta già la propria ambizione. Finalmente sceglieranno o ancora si faranno scegliere Becky, Clem, Perry, Judson, che per quanto giovani o giovanissimi già sembrano essere posti davanti a delle decisioni irrevocabili, come quella di diventare ciò che si è?