Viaggio tra i dimenticati di via delle Tortore "Dovevamo stare poco: sono passati 7 anni"

La prima social house comunale, concepita come soluzione d’emergenza, si è rivelata una ’trappola’ per le 5 famiglie ospitate

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di Angela Maria Fruzzetti

Un corridoio, cinque aule attrezzate a mo’ di “appartamenti”, un bagno per gli uomini e uno per le donne, un solo lavandino dove, a turno, si lavano mani, frutta, verdura, stoviglie e qualsiasi cosa ci sia da lavare, tanta umidità, ovunque. A dividersi quegli spazi ci sono loro, gli esseri umani: cinque famiglie, 14 persone tra cui due minori nati e cresciuti lì dentro l’ex scuola di via delle Tortore. Una strutturata recuperata all’abbandono e riconvertita nel 2014 nella “prima social house comunale”. Aule e corridoio si sono trasformati in tre mini appartamenti e cinque stanze per una disponibilità complessiva di una ventina di posti letto. Avrebbe dovuto essere un modello da esportare in altre realtà. E, doveva essere una soluzione tampone per consentire a famiglie e persone in difficoltà di disporre gratuitamente di un alloggio in attesa di individuare percorsi abitativi risolutivi e il reinserimento.

Ma, come spesso succede, niente è più definitivo del provvisorio perché le famiglie sono lì da sette anni. "Mio figlio è cresciuto dentro questa vecchia scuola" si sfoga Patrizia, 63 anni, che abita lì dal 2015 con il marito e il figlio di 22 anni. Ci apre la porta del suo “appartamento”, il numero 3. Sulla soglia un fornellino elettrico con sopra un pentolino dove stanno cuocendo delle lenticchie. Un tavolo, mobili rimediati, un letto, un divano, una tenda blu come divisorio per garantire un minimo di privacy. Oltre la tenda, il letto dove dorme il figlio.

"La mia è un’odissea – racconta – . Abitavo in via San Giuseppe Vecchio, in una casa in affitto. Mio marito ha perso il lavoro e siamo stati sfrattati. Siamo stati trasferiti alla Turimar e lì non ci stavo male. Avevo un appartamentino che bastava per le nostre esigenze. Ci hanno mandato via perché dovevano ristrutturare e ci hanno trasferito all’Argia. Lì è previsto solo il pernottamento, non ci sono cucine e usavo un fornellino di nascosto per scaldare qualcosa. Poi riponevo tutto sotto il letto. Chiesi per mio figlio, studente, un bonus per un piatto caldo al ristorante vicino ma in Comune mi risposero di rivolgermi alla Caritas. All’Argia avrei dovuto restare tre mesi ma sono diventati due anni. Mia figlia, più grande, non la facevano salire e per 8 mesi ha dormito in auto per strada. Il sindaco finalmente diede l’ok e ebbe un letto, accanto al nostro. Nel 2015 siamo entrati qua, provvisoriamente per 78 mesi massimo un anno ci dissero, e invece ne sono passati 7 di anni. Ho diritto a una casa, dopo 11 anni che giro per le scuole. E invece sono stata esclusa dalla graduatoria degli alloggi popolari perché lo stato di famiglia non era sistemato. Adesso che ho la residenza in Casa comunale non ci sono più scuse".

Sono tutte famiglie di Massa, sfortunate, rimaste vittime di “incidenti” che a volte è difficile o impossibile evitare, come la perdita del lavoro, quindi della casa. Gli aiuti che sono arrivati dal “welfare” hanno forse garantito la sopravvivenza ma non hanno restituito la dignità né, a quanto pare, la possibilità di ritrovare un posto nella società. Nell’appartamento numero 4 un cagnolino abbaia e un ragazzino incuriosito si affaccia sulla porta e richiude. Nell’appartamento numero 2 vive Malika, con il marito e un bambino di 7 anni, nato e cresciuto lì dentro. Sta aspettando con entusiasmo di trasferirsi nell’appartamentino accanto, sempre meglio che un’aula in promiscuità.

Famiglie senza lavoro, al massimo qualche lavoretto in nero, o il reddito di cittadinanza di cui il 10 per centro va versato al Comune. Qui in via delle delle Tortore dovevano arrivare i volontari dell’associazione Uisp Grande Età che, alla presenza dell’amministrazione comunale, avrebbero dovuto consegnare ai minori che vivono nella struttura un omaggio pasquale. Sarebbe però mancata la disponibilità del Comune quindi dono rimandato. Ma le donne della social house ci hanno accolte con un sorriso, e forse una speranza, mostrandoci la loro non vita.