REDAZIONE MASSA CARRARA

Tra veleni e ritardi A inizio mese si saprà chi ha inquinato nell’area ex Coke

Sono passati 30 anni e non c’è ancora un responsabile dell’accaduto. Intanto si pensa già alla fase due per riprendersi la zona oggi off limits. L’ingegnere Oliveri: "Bisogna avere i dati per capire come intervenire".

Tra veleni e ritardi A inizio mese si saprà chi ha inquinato nell’area ex Coke

Entro il 7 giugno si conoscerà il nome del soggetto ritenuto ‘responsabile’ dell’inquinamento dell’area ex Italiana Coke, oggi all’interno del perimetro Sito di interesse regionale ex Sin dal 2013. Il procedimento si era aperto solo pochi mesi fa, a distanza di decenni dalla chiusura dello stabilimento, avviato dalla Regione Toscana, e avrebbe dovuto concludersi all’inizio di maggio, ma durante il periodo di osservazioni e discussione è arrivata una richiesta di accesso agli agli atti, respinta il 21 aprile con "motivata opposizione all’istanza" allungando però i tempi del processo. D’altronde l’iter non è proprio lineare e lo dimostra l’esito di una riunione tecnica convocata d’urgenza il 28 aprile alla sede del Genio Civile di Massa con Eni Rewind, Arpat, Comune di Carrara e la società Asi Srl, in passato proprietaria dell’area. A chiedere l’incontro era stata in particolare Eni Rewind per "permettere di effettuare le valutazioni utili alla presentazione di memoriedocumenti nei termini concessi", visto che la società rientrava nel fascicolo fra i nomi delle aziende coinvolte nel procedimento. Dall’avvio dell’iter, il 6 febbraio, avevano presentato memorie e documenti utili alla procedura oltre a Eni Rewind e Asi anche Societè Generale Leasing spa, Sagevan investements, Mtl, Apuana Ambiente, Effebi group, Mary Rose spa, Gaia spa, Tws automation e Porto di Carrara immobiliare srl. Ma l’individuazione del responsabile della contaminazione è un percorso complesso, richiede tempo, concertazione e tanti documenti, soprattutto a distanza di anni dalla chiusura delle attività. Si arriva quindi all’incontro tecnico del 28 aprile. Le analisi del sito e la conoscenza esatta dello stato di contaminazione diventano il problema principale e a sollevare la questione è l’ingegner Sandro Olivieri di Eni Rewind: "Conoscere il reale stato di contaminazione dell’area per poter proporre eventuali soluzioni progettuali di intervento nel sito".

La richiesta è quella di avere una raccolta sistematica su database dei dati di contaminazione delle matrici ambientali di precedenti analisi e caratterizzazione. Inoltre Eni Rewind vorrebbe effettuare ulteriori indagini per integrare le conoscenze sulla contaminazione del sito, chiedendo alle istituzioni di farsi promotrici del permesso di accesso nelle altre proprietà private. Sulle analisi casca l’asino: i rappresentanti di Arpat evidenziano che i dati di contaminazione risalgono a monitoraggi effettuati nel corso del tempo e anche da soggetti diversi e che sulla banca dati dell’Agenzia regionale si trovano solo quelli effettuati da Arpat. Le analisi degli altri soggetti privati "non sempre risulta essere stata trasmessa dagli interessati". Bisogna affidarsi semmai alle analisi effettuate nel campionamento Sogesid fra 2018 e 2019 ma quello riguarda solo la falda e per l’area ex Italiana Coke ci sono solo 11 punti di analisi di cui 3 esterni al sito. Tant’è vero che Arpat suggerisce di "acquisire dal Genio Civile di Massa i dati sui pozzi ad uso industriale presenti all’interno del sito ex Italiana Coke, allo scopo sia verificare eventuali sovrapposizioni con i piezometri interni al sito campionati da Sogesid sia di acquisire nuove informazioni". A 30 anni di distanza, insomma, siamo ancora a ricostruire la ‘mappa dei veleni’ a causa di dati incompleti e frammentari.