di Cristina Lorenzi
Una battaglia che va avanti da secoli messa a tacere dagli studi e dai documenti riferiti da Cristina Acidini. La presidente dell’Accademia delle arti del disegno di Firenze, ha relazionato nella conviviale del Rotary Carrara e Massa da Ciccio mare il delicato e controverso rapporto fra Michelangelo e le nostre cave. Ripercorrendo la carriera artistica del genio del rinascimento, Acidini ha confermato quanto storie di campanile attestano da sempre: Michelangelo preferiva il marmo del Polvaccio a quello dell’Altissimo. "Preferiva gli scalpellini scorbutici e rudi delle cave di Torano a quelli di Seravezza, dove il Papa Leone X lo aveva indirizzato perché non avrebbe pagato gabelle ad Alberico. Ci sono carteggi che documentano quanto Michelangelo preferisse il bianco di Carrara. E’ lì che spiega che tutto è già contenuto nel blocco e che basta ’cavare’ il superfluo perché la pietra restituisca capolavori come la Pietà, il Davide o il Mosè. Una precisione certosina e maniacale che ha prodotto la realizzazione di opere che ancora adesso è impossibile concepire. Dalla cura per gli attrezzi, aveva una vera ossessione per scalpelli e subbie, fino alla scelta degli scalpellini". E a Carrara c’erano, parola di Michelangelo, già allora i migliori del mondo. "Nemmeno gli scalpellini di Settignano, potevano eguagliare la maestria dei lavoratori apuani. Michelangelo – ha raccontato Acidini affascinando l’interessata platea – ha sempre raccontato che il suo amore per la scultura lo prese dal latte. La balia era di Settignano, dove c’erano le cave di pietra serena". Quando provò l’esperimento sull’Altissimo, nemmeno gli scalpellini della sua terra lo accontentarono, tanto che abbandonò l’alta Versilia per tornarsene all’ombra di Torano. Una serata organizzata dal presidente del Rotary Carrara e Massa Piervincenzo Passeggia che è stata un sapiente tuffo nella storia, nell’arte e nella nostra passata grandezza.