Le radici massesi del rocker Pelù

Il cantante, nel libro appena pubblicato, racconta la storia del prozio ucciso nel 1921 dopo un assalto a Sarzana

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di Anna Pucci

In città, un tempo, esisteva una piazza Paolo Pelù. Aveva al centro la Fontana del Littorio, progettata dall’architetto Cesario Fellini, con quattro fasci sorretti da altrettante teste di leone e, intorno, quattro putti opera dello scultore Alterige Giorgi. Neanche a dirlo, il prefetto di allora la inaugurò, il 28 ottobre 1928, “in nome del fascismo“. Chiusa quella pagina buia, la piazza cambiò nome, prima in Puccini e poi in Liberazione. E la fontana, perso il soppalco littorio a favore di una sfera marmorea, fu serenamente ribattezzata ’dei culi’, in omaggio al didietro esibito dai quattro virgulti superstiti dell’originario monumento.

Il nome della famiglia Pelù è strettamente legato alla storia di Massa. E a questa storia dedica alcuni ricordi, in chiave familiare, un altro Pelù: Pietro, meglio noto come ’Piero’, frontman e co-fondatore dei Litfiba. L’icona del rock italiano, si sa, è nato a Firenze 59 anni fa. Ma le sue radici sono apuane e lui stesso torna talvolta a parlarne. Questa volta lo fa in “Spacca l’infinito“, da ieri in libreria per Giunti Editore: 276 pagine che l’autore definisce il "quasi romanzo della mia vita". Ovvero, "la storia di due famiglie tipiche del ‘900 che si ritrovano un discendente perso nelle strade del rock’n’roll: il sottoscritto". Le famiglie sono quelle, massesissime, del padre Giovannì Pelù, medico radiologo, e della madre Cristina Landi, casalinga.

Ecco, quel Paolo Pelù da cui siamo partiti era zio di Giovanni, ossia fratello del padre Pietro. Prozio di Piero, insomma, del nostro cantautore anarchico e pacifista. Un prozio che, nella retorica dell’epoca, fu dichiarato “martire della rivoluzione fascista“. Anche di lui “el diablo“ parla in “Spacca l’infinito“, ricordando – anticipa Aldo Cazzullo in un articolo dedicato al romanzo – come “con queste idee, e anche per menare le mani”, Paolo si unì alle camicie nere che raggiunsero Sarzana per liberare gli squadristi detenuti nella Fortezza Firmafede, tra i quali il ras carrarese Renato Ricci. Era il 21 luglio 1921. Dopo lo scontro a fuoco con i carabinieri al comando di Guido Jurgens, e i primi morti, una parte dei fascisti si diede alla fuga nei campi. Altri otto verranno raggiunti e uccisi dagli Arditi del Popolo e dai contadini. Tra loro Paolo Pelù, 22 anni, camicia nera di Massa, fratello di Pietro, il cui primogenito Giovanni sarà padre di Piero, il cantautore anarchico e pacifista. Lo stesso nonno Pietro ebbe fama di fascista ma il nipote “perso nelle strade del rock’n’roll” dà una sua lettura di quella scelta: "Era diventato fascista solo per quello (l’uccisione del fratello Paolo, ndr), a Massa lo sapevano e lo capivano tutti".

Legato a Massa, il rocker lo si era già professato in “Perfetto difettoso” (scritto con Massimo Cotto, edito da Mondadori nel 2000), in cui racconta di se stesso bambino a casa della nonna paterna, sul viale Roma, tra giochi e torte di riso. Da adulto, ha scelto spesso Marina di Massa per le vacanze al mare delle figlie. Di Piero Pelù, però, e vado a memoria, non si ricorda qua alcun concerto. Si ricorda, invece, uno spettacolare fuori programma in piazza Aranci. Era il 9 agosto 2001, c’era la Bandabardò a presentare l’album “Se mi rilasso... collasso”. Ma c’era anche lui, tra il pubblico, ad assistere al concerto degli amici fiorentini. E alla fine intonò – riportano le cronache – “Toro loco”, scatenando un’ovazione. "Mai prima era successo che Pelù si esibisse nella nostra città", sottolineò, sorpreso pure lui, l’organizzatore dell’evento Riccardo Pozzi. Vent’anni dopo potrebbe essere un buon momento per tornare con un altro fuoriprogramma. O per parlare di radici.