"Industria delle alluvioni". Dai canali tombati alla minaccia dei ravaneti

Il geologo di Legambiente Carrara, Giuseppe Sansoni, avverte che la tombatura dei canali e lo scarico di terre nei ravaneti aumentano il rischio di alluvioni a Carrara. Propone interventi di ritenzione idrica naturale per mitigare il problema.

"Le cave sono un’industria delle alluvioni" ha detto il geologo di Legambiente Carrara, Giuseppe Sansoni, domenica sera alle telecamere di Report. Parole che pesano come macigni se si pensa che dal 2002 ad oggi la città ha vissuto quattro alluvioni. Sansoni ha spiegato al giornalista Bernardo Iovene, che la causa va attribuita ai canali tombati che confluiscono nel torrente Carrione e alla terra scaricata nei ravaneti. Una questione che il geologo di Legambiente studia da anni, anche proponendo soluzioni. "Tutti i fossi affluenti del Carrione sono stati tombati non appena giungevano a intersecare il perimetro del territorio urbanizzato – spiega Sansoni –. Ancor peggiore della situazione dei corsi d’acqua superficiali è quella del reticolo idrografico tombato (mai definizione fu più appropriata), talmente scomparso alla vista, che probabilmente è ignorato dalla maggioranza dei carraresi. Per comprendere quanto questa pratica sia diffusa, invasiva e radicata da tempo basti l’esempio del centro urbano di Carrara e adiacenze, dove tutti i fossi affluenti del Carrione sono stati tombati non appena giungevano a intersecare il perimetro del territorio urbanizzato. In questo modo le acque dei canali spariscono alla vista, ma ricompaiono fortemente accelerate nel Carrione, incrementandone la portata. In occasione di precipitazioni eccezionali, inoltre, l’elevata pressione può far saltare la copertura della stessa tombatura. In ogni caso, il risultato è un incremento del rischio alluvionale".

Secondo uno studio sono tombati la parte finale del Fosso Stabbio e del Fosso San Martino, mentre lo sono del tutto il Fosso del Bugliolo, il Fosso Codena, il Fosso Foce e il Canal del Rio. "Se è possibile riportare a cielo aperto alcuni fossi tombati di pianura e restituire loro ampio spazio – prosegue Sansoni –, va preso atto che per quelli situati in pieno ambito urbano tale modalità di recupero è ormai impraticabile. Una ragione in più per compensarne l’impatto mettendo in atto, su tutto il territorio, interventi appartenenti alla vasta famiglia delle misure di ritenzione idrica naturale".

Cioè? "L’impatto della tombatura dei fossi Stabbio e San Martino ad esempio, potrebbe essere più che compensato con interventi che incrementino l’infiltrazione nelle vicine colline terrazzate e nel rilevato incolto – precisa il biologo –, situato tra il ponte dello Stabbio (sul quale passava l’ex ferrovia marmifera) e il parcheggio dell’ex stazione ferroviaria". E i ravaneti? "Quelli a rischio sono tanti, a differenza dei canali tombati non esiste un censimento ma si vedono ad occhio nudo – aggiunge ancora il biologo di Legambiente –. A Carrara esiste la pratica diffusissima che consente esplicitamente di scaricare le terre sui versanti, anche se andrebbe portata in discarica. I versanti sono molto ripidi e con le piogge i detriti man mano scendono a valle, dove ci sono i corsi d’acqua, quelli delle cave si sono riempiti di detriti. Se nel ravaneto ci sono le scaglie di marmo l’acqua scorre a zig zag e se ne rallenta la potenza, ma se in caso di precipitazioni elevate nei ravaneti c’è la terra, prima si fluidifica e poi ne favorisce colate in grandi quantità generando delle frane". Alessandra Poggi