"I miei 30 anni di guerra fredda nella base Nato"

L’ex comandante Ersilio Brugnoni racconta i misteri della stazione sul Monte Giogo: "Da lì passavano i messaggi cifrati per la sicurezza dell’Occidente"

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Ha svolto un ruolo importante nello scacchiere della ‘guerra fredda’ fra mondo occidentale e blocco sovietico. Parliamo della base Nato di Monte Giogo, 1520 metri d’altezza sull’Appennino, nel territorio del comune di Comano, punto d’osservazione e di ascolto strategico sul Mediterraneo. Era la Stazione Skatter “Livorno Station”, codice Nato IMXZ. Ersilio Brugnoni, classe 1942 da Venarotta di Ascoli Piceno, maresciallo aiutante del reparto Trasmissioni dell’Esercito italiano, è stato per 30 anni responsabile della Stazione e del personale, fino al 13 febbraio 1996, giorno della chiusura. Brugnoni dipendeva direttamente dal quartier generale Nato di Napoli.

Comandante, la base di Monte Giogo, con le sue gigantesche parabole visibili da tutta la Lunigiana, è sempre stata circondata da un alone di mistero...

"La Stazione IMXZ – risponde Brugnoni – è divenuta operativa nel 1962 anche se i lavori sono iniziati nel 1958. Era una base d’intervento di “Primo Allarme Immediato” dove passavano i canali... bollenti, i messaggi cifrati in un sistema sorto a scopo difensivo in contrapposizione a un eventuale attacco dall’Est. Un sito pertanto di estrema importanza per la sicurezza dell’Occidente che prevedeva severe misure di sorveglianza".

Di che tipo?

"La base – spiega – era chiusa con due barriere di rete metallica e filo spinato alte due metri e il territorio circostante, per 20 metri attorno al perimetro, era considerato “internazionale”: nessuno poteva penetrarvi".

Si è mai posto domande in merito al ruolo che ha rivestito nel contesto della “guerra fredda”?

"Posso dirle semplicemente che io mi sento tuttora molto orgoglioso del lavoro che ho svolto".

A chi era affidata la sorveglianza, ai militari americani?

"Assolutamente no – precisa Brugnoni – sfatiamo questo mito: la guardia, giorno e notte, con qualsiasi condizione meteorologica, era svolta da un nucleo composto da undici carabinieri, più un sottufficiale, che si alternavano in questo fondamentale servizio di vigilanza. I militari dell’Arma stazionavano nella base di Monte Giogo un mese, prima di ricevere il cambio e a loro erano affiancati in supporto sei militari di leva dell’Esercito, in più c’era il personale tecnico. Gli americani giungevano una volta l’anno, per l’ispezione della Base, per verificare che tutto procedesse bene. Se qualcosa non andava, volevano conoscerne il motivo".

Quali erano i problemi principali?

"Guardi, le problematiche erano innumerevoli, tecniche e logistiche. I collegamenti della rete elettrica e viari per scendere a valle dovevano essere sempre in perfetta efficenza. Lassù l’inverno dura da ottobre a maggio e Monte Giogo per la sua ubicazione geografica è la “Casa di Eolo”, il dio dei venti. Ha in mente cosa significa vivere su una cima sferzata da bufere che facevano rotolare via pesanti betoniere come giocattoli di plastica? A volte, per spostarci da un edificio all’altro, con i colleghi sdraiati a terra, ci afferravamo gli uni con gli altri per non essere spazzati via dalla tempesta. E poi il ghiaccio e la neve: in certi inverni più di due metri che sorpassava le reti di recinzione. Nel famoso inverno del 1985 il termometro alla Base raggiunse i 32 gradi sotto zero, i nostri carabinieri rientravano dal turno di guardia con i pastrani congelati che stavano in piedi da soli. Poi dal gelo si spaccarono oltre 30 termosifoni nelle camerate. Posso garantirle che in 30 anni di servizio non ho mai punito nessuno dei militari, perchè già erano sufficientemente penalizzati dall’essere stati inviati fin lì".

Quali le priorità in quelle circostanze ?

"Con la bufera prioritario era mettere al sicuro i mezzi, successivamente noi. La nostra vita non era certo facile: la ricezione dei programmi Tv era difficoltosa, nei momenti liberi avevamo un calciobalilla, le carte.. Nei pressi del bunker antiaereo mi ero ritagliato uno spazio che chiamavo il “pensatoio”, dove mi rifugiavo in cerca di ristoro nei momenti più difficili".

Il Parco Nazionale dell’Appennino, oggi, indica Monte Giogo come la “Porta del Cielo”: lei come lo descriverebbe?

"Nelle belle giornate terse da lassù si vedono la Corsica, l’Appennino, le Apuane, perfino il golfo di Genova, la punta di Nizza con le Prealpi francesi e si scorge il Monte Baldo, fra Veneto e Trentino. Un vero paradiso sulla terra".

Il momento più duro e triste?

"Il 13 febbraio del 1996, quando ho raccolto attorno a me tutto il personale, in un silenzio irreale, e ho staccato il quadro comandi di tutta la Base spegnendo tutte le sofisticate apparecchiature. In quel momento ho capito che una parte importante della mia vita se ne era andata. Per sempre".

Roberto Oligeri