NATALINO BENACCI
Cronaca

I falò di Pontremoli, una storia iniziata nel 1529

In un libro tradizioni e documenti con fiamme, fumo, benedizioni e preti

Gli oratori: in piedi il sindaco Lucia Baracchini, poi Riccardo Boggi, Walter Massari e Paolo Lapi

Massa, 30 gennaio 2019 - LA MAGIA dei falò, liturgia popolare arcaica, torna ogni anno a riscaldare i cuori dei parrocchiani di San Nicolò e del Duomo, pronti con cori da stadio ad inneggiare plastiche frustate di luce per sigillare la superiorità scenica dell’evento. Dentro le performance contradaiole ci stanno tutti gli ingredienti della fisica: acqua, fuoco e aria. Col valore aggiunto del ponte, sigillo dell’uomo proiettato simbolicamente a superare le difficoltà della natura. La storia dei falò pontremolesi è stata indagata in una pubblicazione dallo storico Paolo Lapi, che ha ripercorso le tappe della tradizione tra fiamme, fumo, benedizioni e presagi. Un imperdibile volumetto che svela origini e curiosità storiche presentato l’altra sera nella Sala dei Sindaci a Palazzo comunale. Con l’autore c’erano il sindaco Lucia Baracchini, l’etnologo Riccardo Boggi, in veste di relatore, e il fotografo Walter Massari che ha messo a disposizione le immagini, di fronte ad un’interessata platea di pubblico, tra cui anche il primo cittadino di Filattiera Annalisa Folloni, rappresentanti dei fuochisti e appassionati.

«La parola «falò« deriva dal latino «fallodia« che significa fuoco per allegria – ha spiegato Boggi - .La notizia più antica sulla tradizione dei fuochi, registrata nei documenti storici, consultati da Lapi, è conservata nella Cronaca del notaio Ser Marione Ferrari che racconta i falò accesi nel 1529 per festeggiare la presa di possesso della città concessa da Carlo V a Sinibaldo Fieschi. Episodi rilevati dai documenti anche il 18 settembre 1650 - prosegue - nel momento in cui il senatore fiorentino Alessandro Vettori arrivò a Pontremoli per il passaggio della città sotto il Granduca di Toscana. Ma a finanziare i fuochi era lo stesso Comune così come testimonia il «Registro delle Bullette»: in uscita le scritture riportavano spese per l’acquisto di «bochi» e «ulsi» (cespugli di erica, quercia e ginestra) per i due falò che venivano bruciati nella Piazzetta del Castello del Piagnaro e nella Piazza di Sotto».

Ma in particolare la ricerca del professor Lapi ha indagato le prime notizie dei falò nel Novecento attraverso le pagine del settimanale diocesano « Il Corriere Apuano«. La ripresa della disfida dei fuochi segnalata sulla stampa è datata 1919, esattamente cento anni fa in un articolo in cui si parla di rito tradizionale legato alle due parrocchie di San Nicolò (denominata il Vaticano perché favorita da una sentenza del Tribunale papale dei riti in una questione di processioni) e del Duomo in cui nel 1721 fu trasferita la parrocchia di San Geminiano. La tradizione da storia diventa cronaca. Nel corso dell’incontro sono intervenuti oltre all’autore, il fotografo Massari Andrea Baldini e Domenico Bertoli. Un preambolo culturale prima del secondo tempo della disfida: l’appuntamento col falò del patrono è giovedì 31 gennaio alle 19 sotto il Ponte della Cresa.