Ci sono solo lei e la sua bicicletta. E tutto il mondo intorno. Sara Culli di Carrara, 23 anni di pura energia, è partita il primo aprile da Viareggio (lavora alla Cittadella del Carnevale, dove fa i carri di prima categoria per ’Luca Bertozzi scenografie’ e ha vinto un bando per ’maschere isolate’) con la sua Scott Gravel nera di nome Lagherta, "come una vichinga, perché è riuscita a superare tante sfide", un mix tra una mountain bike e una da corsa, è andata su verso Trieste, la costa croata, il Montenegro, il Kossovo, poi Macedonia e Bulgaria, è arrivata in Turchia.
Qui la raggiungiamo al telefono sulla costa sud, nella baia di Oludeniz, in procinto di ripartire verso la Cappadocia, che sarà il giro di boa del viaggio: da lì tornerà indietro, attraverso Grecia e Sud Italia, in un percorso ad anello che la riporterà a casa. Sara tiene un diario di viaggio su Instagram (Scarti.di.viaggio), dove si possono vedere le sue foto e cronache giornaliere, e dove si trova anche il link per sostenere la raccolta fondi intitolata all’associazione Gianluca Melani. "Fin da piccola sono abituata a viaggiare in bici con i miei - racconta - E l’anno scorso avevo già fatto un primo viaggio da sola in Francia Spagna e Portogallo. Questa volta sono arrivata fino in Cappadocia per conoscere la cultura e la vita turca senza filtri, perché in bici riesci ad avvicinarti davvero alle persone".
Spesso dorme in tenda, o a casa di chi la ospita, l’ultima volta ad esempio da una famiglia turca, "la bici è un gesto di fiducia totale nel mondo, non hai un casco o un finestrino a proteggerti, attira l’occhio e l’attenzione dei passanti, poi certo anche il sorriso, come ti poni".
Ma una donna che viaggia sola, non ha mai paura? "Sì certo è normale, ho avuto qualche episodio, una stretta di mano un po’ più forte, un invito troppo insistente, ma mai qualcosa di veramente pericoloso". Oppure quando si è ritrovata su una strada brutta, con il meteo contro, "però la paura che puoi provare viene come azzerata da tutte le cose belle che vedi". Tra le più belle la costa croata e l’isola di Pag, la neve in Montenegro, l’arrivo a Istanbul "emozionante". La bici è un po’ come una casa su due ruote, spiega, e le borse sono le stanze: così sul fronte ne ha due, una per la pulizia personale e una per la cucina, con un fornellino a gas, uno ad alcol e un pentolino, dietro ne ha una per la zona letto, con un sacco a pelo, un cuscino, un materassino gonfiabile, una tenda. In più un piccolo ufficio, con l’occorrente per disegnare e scattare foto, le sue passioni. Se le chiedi come è la sua giornata tipo, ti risponde che non esiste giornata tipo, l’unica certezza è la colazione con porridge e frutta, e poi naturalmente pedalare. Dagli 80 ai 100 chilometri al giorno, "dipende dal dislivello, dal clima, o se mi voglio fermare a vedere qualcosa; di solito programmo prima, ma il bello della bici è comunque la totale libertà. Qui in Turchia non parlano inglese, uso il traduttore e ci capiamo a gesti". Il momento più difficile è la prima settimana, anche la seconda, quando il fisico e la mente si devono ancora abituare a perdere tutti i comfort, a non avere paletti e certezze, "più vai avanti e più sai come muoverti, ti senti forte, ti fidi di te stessa, impari come porti con gli altri". Che cosa le manca di più? "Gli amici, la pizza, i miei genitori Marco e Cristina, che hanno avuto più coraggio di me a lasciarmi andare e sostenermi: quando sarò di nuovo a casa apprezzerò tutto anche di più proprio perché sono qui adesso".