Assolto l’ex direttore dell’Archivio di Stato

Due le accuse per Maurizio Munda in merito alla sicurezza sui luoghi di lavoro: ma il fatto non sussiste. "Superficialità degli ispettori Asl"

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Due capi di accusa, otto udienze, tredici ore in aula al banco degli imputati davanti al giudice monocratico Antonella Basilone, ma alla fine l’assoluzione perchè il fatto non sussiste. E’ durata quattro anni e mezzo, ma è finita nel migliore dei modi, la vicenda giudiziaria che ha visto protagonista Maurizio Munda, ex direttore dell’Archivio di Stato di Massa, difeso dall’avvocato Francesca Gaggi. I fatti risalgono al 2018 quando, con due visite ispettive, il Pisll dell’Asl, il servizio che si occupa della sicurezza sui luoghi di lavoro, contestò a Munda due verbali per avere adibito al prelievo di faldoni nei depositi archivistici una dipendente provvista di limitazioni imposte dal medico del lavoro (accusa poi risultata infondata in seguito alla documentazione prodotta) e per alcuni presunti pericoli per la incolumità dei lavoratori nei depositi, come alcuni vecchi estintori fuori uso utilizzati come fermi delle porte tagliafuoco, alcuni antichi registri sporgenti dagli scaffali, la presenza di faldoni sui pavimenti, la mancanza della cartellonistica nei soppalchi e nelle scaffalature.

All’epoca Munda non ritenne opportuno pagare le sanzioni del Pisll (che avrebbero estinto entrambi i reati penali) e ha trasmesso gli atti alla Procura che a sua volta ha chiesto al Gip l’emissione di un decreto penale. Questo è arrivato ma, seppure con sospensione della pena (non contemplava il pagamento di alcuna ammenda), avrebbe macchiato la fedina penale e quindi, tramite il proprio legale, Munda ha chiesto il processo immediato, rinunciando da subito anche alla eventuale prescrizione. E il processo gli ha dato ragione perché grazie alla ricca e copiosa documentazione prodotta (281 i documenti presentati, comprese centinaia di foto), è stato possibile dimostrare che nessuna costrizione è avvenuta ai danni della dipendente, e sono anche state dimostrate le responsabilità del Ministero (oggi della Cultura) nella sicurezza dell’istituto. E poichè la responsabilità penale ricade sul datore di lavoro, tutto ruota sulla sua corretta identificazione.

"Con una superficialità sconcertante e senza un approfondimento, gli ispettori dell’Asl hanno identificato il datore di lavoro nel direttore, mentre è stato dimostrato che il vero datore di lavoro è a Roma perché lì c’è la titolarità dei poteri contemplati dalla legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, la 81 del 2008 – precisa Munda – perché il datore di lavoro è colui che ha autonomia gestionale e di spesa, mentre i direttori delle strutture periferiche del Ministero dipendono da quest’ultimo anche per avere risorse per le utenze e la sicurezza".

Amara la riflessione di Munda che fin dall’inizio della sua direzione si era adoperato per rimettere ordine in depositi che somigliavano più a discariche che a luoghi di conservazione di documenti antichi. "Piuttosto che eseguire approfonditi controlli nei luoghi di lavoro dove vi sono reali pericoli, il Pisll si è distratto in un luogo dove il pericolo più grande è rappresentato dalla accidentale caduta di un faldone su un piede con conseguente unghia nera. Se solo gli ispettori avessero chiesto maggiori informazioni all’allora direttore, se avessero proceduto con maggiore attenzione nell’identificazione del datore di lavoro, se avessero chiesto quali sono le regole di archivioeconomia da rispettare nei depositi archivistici, tutto questo sarebbe stato evitato. E mentre il Pisll va a caccia di mancanze di rilevanza penale, nella propria sede di Monterosso il Pisll ha una porta di ingresso non a norma che si apre verso l’interno, mentre in vari siti dell’Asl (monoblocco, distretto di Avenza, pronto soccorso del Noa) diversi estintori sono collocati sopra le sedie utilizzate dall’utenza".