
Il Covid frena anche le tradizioni più antiche. Antona, il 31 gennaio, celebra San Geminiano vescovo, patrono e protettore del borgo. Da un millennio, e fino a due anni fa, il 31 gennaio veniva riproposta la ricorrenza del santo con una festa di paese. Un’occasione per rispolverare le antiche iniziative di culto legate alla processione che si svolgeva al tramonto, portando a spalla, nelle vie e nelle piazze, la statua del santo, accompagnata dall’ Arci Confraternita, antica congregazione che ancora oggi conta un numero di adesioni considerevole. Il Covid ha congelato tutto, privando Antona dei suoi tradizionali profumi di sughi, arrosti e della caratteristica ’stordellata antonese’, del ritrovo dei paesani con i familiari lontani che tornavano alle loro case e visitatori richiamati dall’aria di festa. "Tornavano – spiega Giovanna Pitanti (nella foto), antonese doc, – perché sapevano che un piatto di tordelli li avrebbero mangiati". Lavoravano la trattoria, i circoli e i bar. E la sera, dopo la processione con il santo, c’era anche il ballo in piazza, tra sacro e profano. L’evento, sospeso dalla pandemia, riallaccia il filo alla figura di San Geminiano e alla sua influenza nella vita degli abitanti del luogo e delle valli intorno. Ad Antona, infatti, 8 giorni prima della festa, si usava fare i ’cemboli’, tipici suoni che le 4 campane spandevano, a notte fonda, per oltre mezz’ora, per poi chiudere con lo scampanio a festa. "La squadra dei cavatori – ricorda Giovanna - lanciava l’asta e chi offriva di più aveva l’onore di portare a spalla la statua del santo. Le porte delle case erano aperte e a nessuno era negato un piatto di tordelli. Di tutti questi riti oggi sono rimaste solo le campane che in questi giorni, suonando a festa, hanno ricordato San Geminiano, riportandoci indietro nel tempo, a quelle belle feste di paese che purtroppo non ci sono più".
Angela Maria Fruzzetti