REDAZIONE LUCCA

Un nuovo racconto di Tista Meschi: “Una gita all’Abetone“

Pubblichiamo un altro racconto dal libro di Tista Meschi “Via della Cortevecchia“ edito dall’Accademia Lucchese di Scienze, lettere e arti. Si intitola “Una gita all’Abetone“ (1948)

Marcello, grande organizzatore irrequieto, organizzò per una domenica di dicembre una gita sciistica domenicale all’Abetone, nota località di sport invernali. Riuscì a mettere insieme una trentina di ragazzi, costo minimo alla portata di studente, mangiare al sacco e acqua a volontà sul posto. L’idea mi allettò, ma forse mi allettò la compagnia o altro non so. Fatto si è che mi iscrissi, versai l’acconto e cominciai prepararmi per l’evento. Non ero per niente attrezzato per questo sport, del resto anche per nessun altro sport se non quello di camminare (se si può chiamare sport). Marcello mi rassicurò. “La giacca a vento te la do io“, disse, era una vecchia giacca di tela probabilmente residuato della prima guerra mondiale. Ma va bene, dissi. Gli sci furono dei vecchi arnesi di legno con le racchette di vero legno di faggio recuperati da uno zio ex sciatore: gli scarponi erano di mio padre robusti e ben chiodati. Ma va bene, dissi. E poi calzettoni sciarpa cucita a cappuccio,che non misi mai per la vergogna e sotto i pantaloni normali il pigiama per il freddo, roba di casa... Ma va bene. Mi dissi ancora. Alla partenza mia madre mi fece il pacchetto coi viveri, non ci mancò l’uovo sodo.

Ora che scrivo mi viene in mente l’attuale Fantozzi, ma è tutto vero. Sull’autobus: grandi lazzi e inni di montagna, che tristezza! Poi le istruzioni - raccomandazioni di Marcello, sempre efficiente. Arrivati e scesi, Tutti sparirono, chi andò da una parte chi dall’altra con propositi di grandi sciate. Rimasi solo, mi avviai verso un campetto innevato e mi legai gli sci agli scarponi, mi alzai in piedi e immediatamente cascai scivolando, mi rialzai alla meglio, una scivolata e mi ritrovai sulla schiena, ripartii di nuovo riuscii ad arrivare in fondo al campetto principalmente col culo. Tentai di tornare indietro, a spina di pesce, mi aveva ragguagliato Marcello, ma invece di andare in su scivolavo all’indietro con grandi panciate sulla neve. Mi tolsi gli sci e tornai all’autobus e dalla disperazione divorai tutto il pranzo così detto “al sacco”. Aspettai l’ora di partenza seduto nel mio posto assegnato. Dal finestrino osservavo divertito gli sciatori veri che andavano su e giù per quel campetto di 100 metri, tutto il giorno, in fondo facevano un bel “cristiana“ e tornavano su a lisca di pesce. Tutto il giorno così!! Ripartimmo all’ imbrunire, tutti avevano fatto la Selletta e il Gomito tutti erano stati a bere il vin-brulè tutti si erano molto divertiti ma erano piacevolmente stanchi. Io no.