
A sinistra la vittima, Francesco Sodini; a destra l'omicida Massimo Donatini
Lucca, 8 aprile 2015 - Era una persona tranquilla, disponibile anche a dare una mano quando c’era da accompagnare i figli nelle trasferte di pallacanestro. Così viene ricordato Francesco Sodini, nato il 4 ottobre di 52 anni fa e fratello di Massimo, ispettore conosciutissimo in Questura a Lucca non soltanto per il suo apporto alla Polizia di Stato ormai da anni, ma anche per il suo impegno nei corsi di autodifesa per le donne e contro la violenza con incontri organizzati sia a Lucca che in Versilia. Francesco da anni era impiegato invece alla Lucart, nel reparto caldaie, nello stabilimento di Porcari. Abitava tra piazza Salvo D’Acquisto e via Sandei all’Arancio al secondo piano di un piccolo condominio, insieme alla moglie Maria Pia Manfredini - 52 anni e impiegata alle Poste di Lammari - e i figli Damiano, 23 anni e Riccardo 19.
Proprio il figlio minore ieri mattina era in casa con la madre quando è successo l’irreparabile. Lui frequenta l’Iti mentre il fratello maggiore segue i corsi di Scienze motorie all’Università. Entrambi hanno la passione per la pallacanestro e infatti Damiano gioca nella Libertas serie D prima squadra ed è istruttore dell’Under 19 regionale del CMB dove milita anche il fratello Riccardo. E proprio dalla pallacanestro e dallo sport in generale arriva una grande dimostrazione di affetto e vicinanza a tutta la famiglia Sodini: in occasione della partita di sabato tra Libertas e Cus Pisa al PalaMatteotti infatti, verrà chiesto alla Federazione di poter effettuare un minuto di silenzio in segno di rispetto per la morte del padre dei due giovani giocatori. Non solo: « Giocheremo con il lutto al braccio - spiega coach Maurizio Romani, allenatore della Libertas - : vogliamo essere molto vicini alla famiglia, ma al contempo lo vogliamo fare con molta discrezione».
Massimo Donatini era profondamente convinto che ieri sarebbe stata la sua ultima volta in cui avrebbe varcato il cancello della Lucart, a Porcari. Caldaista, 43 anni, da 25 anni dipendente della multinazionale cartaria dove aveva lavorato anche il padre e dove attualmente era impiegato pure il fratello, ormai era come ossessionato (almeno secondo il racconto fornito ai carabinieri) dal timore di perdere il posto. Ieri Donatini aveva il turno di pomeriggio, con inizio alle 14.
Di prima mattina si era alzato sostenendo di volersi recare a correre. Era un grande appassionato del jogging che praticava nel tempo libero o la mattina presto. Anche per la festa di Pasquetta, ad esempio, quando la famiglia si era riunita per celebrare una doppia ricorrenza, oltre al Lunedì dell’Angelo anche il compleanno di Gianpiero, il figlio di appena tre anni. Un momento felice, una famiglia come tante. Ma il tormento interiore era ormai arrivato allo spasimo e ha condotto Donatini a convincersi che il suo capo reparto potesse in qualche modo influire sul suo futuro lavorativo. Dall’armadietto blindato dove il padre regolarmente deteneva alcuni fucili da caccia, l’uomo ha prelevato anche la pistola che, secondo la sua confessione, avrebbe anche provato sparando alcuni colpi in un campo mentre a piedi, dalla sua abitazione di Camigliano, in via delle Pianacce, a breve distanza dalle scuole medie e dal luogo dove nel gennaio scorso perse la vita un bambino di 14 anni, si recava in via Sandei a Lucca per tendere l’agguato mortale al collega. Anche la famiglia dell’omicida è molto conosciuta nel capannorese.
La moglie di Donatini, Debora Bianchi, è titolare tra l’altro della lavanderia «Indiana» di Segromigno in Monte, frequentata da molte persone della zona e non solo. La comunità è sconvolta. Nel paesino, per motivi completamente diversi, si sta vivendo un altro momento di tristezza dopo quello ricordato del piccolo travolto da una vettura tre mesi fa. «Che dire, lo choc è notevole. Niente avrebbe lasciato presagire ad un gesto del genere – commentano i camiglianesi – e questo accresce la nostra incredulità». Una persona assolutamente nella norma che la comunità ha sempre rispettato come ci conferma anche un cittadino che vuole mantenere l’anonimato: «In queste situazioni è sempre molto arduo fornire giudizi, certo quello che ha fatto, premeditandolo come dimostra il suo modus operandi, lascia molte perplessità se consideriamo la persona che noi abbiamo sempre conosciuto qui nel paese, dove non ha mai dato l’impressione di vivere in una condizione di stress».
C.C. M.S.