REDAZIONE LUCCA

"Noi donne in Polizia? Siamo brave a mediare"

Intervista alla dottoressa Alessandra Faranda Cordella, a capo della Questura. Una carriera in prima linea. "La parola giusta è questore, come sul timbro..."

"Può chiamarmi tranquillamente questore, il timbro ufficiale sugli atti che firmo dice così... Oppure “signora questore“, come preferisce. Basta che non mi chiami semplicemente “signora“ come mi capita a volte, perché lo trovo fuori luogo. Lo so che è il tema del momento... Comunque in Polizia decliniamo il merito indipendentemente dal genere...". Sorride la dottoressa Alessandra Faranda Cordella, questore di Lucca dallo scorso 1 agosto. Sulla scrivania spicca un mazzo di mimosa, a sottolineare un 8 Marzo che nel suo ufficio ha un sapore particolare.

Quando è entrata in Polizia?

"Sono entrata in Polizia nel 1984 e ho una lunga esperienza in prima linea nell’ordine pubblico. Spiccano 12 anni di confronto con le tifoserie allo stadio torinese Delle Alpi e altri 6 allo stadio di Bergamo con l’Atalanta".

La donna giusta al posto giusto, insomma.

"Oggi non è certo una cosa strana avere una donna al vertice. Quando ho iniziato io era meno usuale, era stata appena smilitarizzata la Polizia di Stato. A me piace lavorare con le donne, perché spesso hanno una marcia in più. No anzi, questo non lo scriva...".

Due lauree, la sua è una carriera modello

"La storia di noi donne in Polizia nasce nel 1959. All’epoca le donne si occupavano solo di protezione delle fasce deboli e del fenomeno della prostituzione. Abbiamo iniziato a fare carriera solo con la legge 121 del 1981, con la smilitarizzazione. Si sono aperti tutti i ruoli, senza discriminazioni e ovviamente con altrettanti carichi di responsabilità".

Si è mai sentita a disagio come donna nel suo lavoro?

"No. Non mi sono mai sentita discriminata dai miei superiori, né dai miei colleghi di scrivania o nel settore ordine pubblico. Ho sempre sperimentato una parità di diritti e anche di responsabilità e di rischi, ovviamente. Ad esempio ho vissuto in strada e nelle piazze le grandi manifestazioni sindacali nella Torino dei primi anni ’90".

Cosa ha imparato nelle piazze?

"Beh, dovevi sviluppare ogni volta quella che credo sia diventata un po’ la peculiarità principale della Polizia di Stato, ovvero la capacità di mediazione tra i diversi diritti. I diritti si devono un po’ contemperare. Situazioni che ti formano sul campo. La responsabilità dell’ordine pubblico è in carico alle forze civili. Significa assumere delle decisioni e anche pagare le responsabilità che da questo derivano. Ma devo dire che le donne questo lo sanno fare bene. Sono abituate alla mediazione e anche al ruolo della “cura“. Una capacità di tenersi in equilibrio in situazioni difficili...".

E sul versante della tutela delle donne vittime di violenza di genere?

"Noi siamo una punta avanzata nel campo della tutela delle donne, dato che fin dal 1959 la polizia femminile si occupava di donne e minori, vittime di violenza, prostituzione, affiancando gli uomini operativi. E’ un fil rouge, se vogliamo definirlo tale, visto che rosso è anche il colore che caratterizza la lotta alla violenza di genere, che ci ha portato poi a essere davvero avanzati. Abbiamo iniziato a parlare di formazione dell’accoglienza delle donne maltrattate quando questo non era ancora diffuso con una rete sul territorio. In questo la Polizia è moderna e ha anticipato l’attenzione a fenomeni che sono esplosi assai dopo, come il cyberbullismo e la violenza di genere".

Come vi preparate?

"Abbiamo in particolare il progetto “Questo non è amore“ che portiamo nelle scuole e ci permette di formare personale specializzato. Pensiamo che debba esserci una preparazione specifica, perché le vittime di violenza devono rivolgersi con fiducia a noi, trovando interlocutori adeguati".

Lei consiglierebbe oggi a una ragazza di intraprendere la carriera in Polizia?

"Sì, assolutamente. E’ bellissimo. Sono passati 36 anni, ma io lo sceglierei di nuovo...".

Paolo Pacini