La morte di Vania. Insulti ai legali: dal web ai volantini

"La difesa? È un diritto inviolabile". La Camera Penale: "Turbati dai fatti, ma questa è la Costituzione"

Pasquale Russo (foto Ansa)

Pasquale Russo (foto Ansa)

Lucca, 12 agosto 2016 -  «IL DIRITTO di difesa è un diritto costituzionalmente garantito che gli avvocati esercitano nel rispetto della legge e delle norme deontologiche». È la presa di posizione della Camera Penale e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lucca dopo il diluvio di ingiurie e frasi inneggianti alla violenza nei confronti degli avvocati lucchesi Paolo Mei e Gianfelice Cesaretti, «colpevoli» di essere i difensori di fiducia di Pasquale Russo. La raffica di frasi è partita sui social e poi è stata indirizzata agli avvocati, ai quali è anche stato augurato di fare la fine della povera Vania. E dalla piazza virtuale c’è chi poi – al momento si tratta ancora ignoti – ha pensato bene di passare a metodi più tradizionali. Tant’è che sarebbero spuntati volantini offensivi e minatori persino vicino alla casa di uno dei due legali.

«LA DIFESA tecnica – commentano dalla Camera Penale lucchese e dall’ordine degli avvocati – è un diritto essenziale per chiunque ne necessiti, talvolta un onere per chi l’assume. Ma è un principio imprescindibile di civiltà giuridica che va sempre difeso – prosegue la nota – come tale anche nei casi come questi, nei quali siamo tutti profondamente turbati per la gravità dei fatti». Le minacce più o meno velate ai legali sono state infatti un paradosso: violenze verbali da parte di chi condanna (a tutta ragione) la violenza che ha ucciso Vania. In un circolo vizioso pericoloso. La vicenda è finita anche all’attenzione della Giunta Nazionale dell’Unione Camere Penali presieduta dall’avvocato Beniamino Migliucci. Sul caso interviene anche l’avvocato Ludovica Giorgi, ex presidente della Camera Penale di Lucca ed ex segretario dell’Unione delle Camere Penali Italiane. «Nel nostro Paese – sottolinea – impera purtroppo quella cultura che identifica l’avvocato con il crimine che lo Stato contesta al proprio assistito. ‘Se lo difendi lo condividi’ sembrerebbero sottendere le offese lette in questi giorni, ‘e per questo posso offenderti’».

«EBBENE no – aggiunge Giorgi – lo difendi perché difendi il diritto dell’imputato ad essere giudicato per ciò che ha commesso secondo le regole poste dalla legge. Niente a che vedere con la condivisione, niente a che vedere con i soldi, molto a che vedere con una funzione pubblica essenziale alla democrazia. Hanno scritto l’Ordine degli Avvocati e la Camera Penale, cui io appartengo, che il diritto di difesa è previsto in Costituzione. Vero. Aggiungo che è previsto come ‘inviolabile’, e tale aggettivo, usato dal Costituente – conclude – ne testimonia la sua sacralità».