L’assassino di Vania non si arrende. Va in Cassazione contro la condanna

Nuovo avvocato difensore e ricorso: "No a premeditazione e stalking"

Pasquale Russo (foto Ansa)

Pasquale Russo (foto Ansa)

Lucca, 16 gennaio 2019 - L’assassino di Vania Vannucchi non si arrende alla condanna a 30 anni di carcere inflittagli in primo e secondo grado per omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà e atti persecutori. Pasquale Russo, rinchiuso nel carcere di Prato, ha da poco cambiato avvocato e ha presentato un ricorso in Cassazione. Lo scorso 25 luglio la Corte d’appello di Firenze aveva confermato la sentenza del gup Antonia Aracri, che nel maggio 2017 gli aveva inflitto 30 anni di reclusione. Dopo aver evitato l’ergastolo solo grazie alla scelta del rito abbreviato e allo sconto quasi automatico, adesso Pasquale Russo tenta quindi in extremis di ottenere in Cassazione un annullamento della sentenza di appello, finalizzato a un ulteriore sconto di pena. Lo fa aggrappandosi a una serie di rilievi contenuti nell’istanza del suo avvocato Pamela Bonaiuti del Foro di Prato.   Nel mirino ovviamente non c’è l’estraneità all’atroce delitto da lui commesso il 2 agosto 2016, quando, al termine di una lite, dopo averla cosparsa di benzina, bruciò viva Vania (che all’epoca lavorava come operatrice socio sanitaria a Cisanello) perché lei non voleva ormai più saperne della loro relazione e anzi minacciava di denunciarlo per stalking e furto di cellulare.    I punti su cui insiste il difensore sono legati alla insussistenza delle aggravanti della premeditazione e della crudeltà. Secondo l’avvocato Bonaiuti, i giudici hanno finora «ritenuto erroneamente sussistente il reato di atti persecutori», che non si configurerebbe, tra l’altro, perché Vania stessa avrebbe contattato Pasquale Russo «senza dimostrare alcuna paura di lui». Non vi sarebbe stata poi una vera premeditazione del delitto, mancando «un adeguato supporto probatorio che indichi effettivamente il lasso temporale intercorso tra l’insorgenza della determinazione omicida dell’imputato e la sua esecuzione». In sostanza la difesa propende per un delitto maturato quasi nell’immediatezza di quel litigio fatale.   Il ricorso in Cassazione sarà discusso tra qualche mese, ma era un tentativo prevedibile da parte dell’omicida, che non ha nulla da perdere. In caso di annullamento della sentenza di appello, su queste basi, Pasquale Russo potrebbe ottenere uno sconto di pena di qualche anno o un nuovo processo di appello davanti ad altri giudici. Di opposto avviso la Procura e anche le parti civili, i familiari di Vania e l’associazione Luna Onlus. Per loro il delitto è stato purtroppo la punta estrema di una condotta persecutoria nei confronti della povera vania, colpevole di aver troncato da mesi la loro relazione. Dopo averle rubato il cellulare entrandole in casa la notte precedente, Russo quel 2 agosto 2016 l’aveva attirata a un appuntamento trappola dietro l’ex ospedale Campo di Marte, con la scusa di restituirle il telefonino. Dopo una violenta lite, la cosparse di benzina (una tanica riempita alcune ore prima e conservata nel bauletto dello scooter) e le dette fuoco, fuggendo via mentre Vania tentava una disperata quanto inutile fuga. Ma fu lei stessa a mettere gli inquirenti sulle tracce dell’omicida: «Cercate Pasquale, è stato lui...», furono le sue ultime parole.