
Quattro giorni di ricovero al “Versilia“ per un delicato intervento di asportazione del rene sono stati un precipizio buio, più oscuro della cecità con cui è costretta a convivere, per Angela Stanghellini, 72 anni, residente a Capannori. “E’ stato un incubo da cui non mi sono ancora ripresa, ancora oggi ho incubi e attacchi di panico – racconta la signora Angela–. Si comprende che in epoca di Covid non si può essere assistiti e visitati dai propri cari come in tempi normali. Ma io mi sono sentita immensamente sola, con il filo del campanello a portata di mano solo per la notte, il comodino con il bicchiere per bere un sorso d’acqua non raggiungibile neanche se allungavo il braccio. Chiamavo aiuto, nessuno mi rispondeva“. Un ricovero che è stato un’odissea per la signora Angela che ha trovato assistenza perfetta e professionalità da parte dell’equipe medica, in particolare da partedel dottor Andrea Mogorovich, “disponibile a qualsiasi ora, umano e gentilissimo“. Ma che per il resto si è sentita dimenticata in quel letto dove ha vissuto il suo infinito calvario. “Sono cieca, non posso badare a me stessa come qualsiasi altra persona. Eppure – ci racconta la signora Angela – mia figlia è potuta venirmi a trovare solo dopo varie insistenze, anche se aveva appena fatto il tampone. Quando sono potuta andare in bagno, prima delle dimissioni, a un certo punto ho chiamato perchè aveva iniziato a girarmi la testa e non sapevo come tornare a letto. Ma nessuno, evidentemente, mi ha sentito“. Anche il giorno delle dimissioni si è legato a una sorta di incognita da “stop and go“. “Il dottore mi aveva detto che psicologicamente ero provata e che quindi per questo aspetto era meglio che rientrassi a casa ma che dal punto di vista della prudenza clinica sarebbe stato preferibile prolungare la degenza di un paio di giorni. Gli ho risposto che se le cose stavano così avrei cercato di tenere duro. Quindi avevo messo in conto quei due giorni in più. Invece a un tratto mi hanno svegliata per dirmi di prepararmi che mi dimettevano. Occuparsi di me, disabile per via della cecità, era forse troppo impegnativo? Non so, fatto sta che sono tornata a casa piena di dolori e in preda agli attacchi di panico“.
“Sono rimasta scioccata. Di quei giorni, dall’8 al 12 gennaio – sottolinea – ricordo ombre e silenzi. Una solitudine immensa che mi è rimasta addosso. Non ho avvertito umanità, mi sentivo invisibile, e stavolta non per un problema legato alla mia disabilità. Se farò denunce? Non sono ancora in grado di dirlo, ma senz’altro neanche di escluderlo.“.
Laura Sartini