"Dad e isolamento: manca il supporto fra i giovani"

Lo psichiatra Piccinni riflette sul rapporto fra droga e pandemia

Droga e disagio giovanile. Ne parliamo con il professor Armando Piccinni, psichiatra e presidente della Fondazione Brf Onlus, recentemente capofila di un appello destinato al presidente Draghi firmato da oltre 200 specialisti della salute mentale per richiedere fondi e attenzioni rispetto alle patologie legate al cervello e riconducibili al covid.

Professore, qual è il meccanismo che induce un ragazzo di 20 anni a spacciare mettendo a rischio se stesso e il proprio futuro?

I motivi sono i più diversi. L’idea di un facile guadagno, la possibilità di farla franca con la giustizia, la possibilità di procurarsi la sostanza quasi gratuitamente, la convinzione di avere potere sui coetanei e nella fattispecie, nel caso dei protagonisti di questo fatto di cronaca, l’idea di essere protagonisti di una doppia vita: teoricamente alle prese con un compito normativo come le lezioni scolastiche, in realtà al centro di un commercio illegale. Di certo, nella mente di un ventenne la piena coscienza delle conseguenze di un fatto del genere sono inferiori rispetto a un adulto.

E l’antefatto di tutto ciò: famiglia, società o social?

Pensare di inscatolare in un’unica motivazione qualcosa che è il frutto del cambiamento dei costumi, della società, della tecnologia - per citare solo alcuni degli aspetti più noti - non è possibile. È verosimile che tutti questi elementi insieme siano la causa di questo cambiamento. Bisogna però evidenziare che al centro delle decisioni di qualsiasi comportamento esiste sempre l’uomo, con i suoi valori interni, il suo temperamento, la sua formazione. Questo ci fa capire perché i ragazzi di oggi, che sembrano fra di loro molto simili, in realtà siano molto diversi.

Che ruolo gioca la pandemia?

Di certo l’isolamento e la didattica a distanza sono state nell’ultimo anno la causa di una grave perdita per gli adolescenti e per i giovani. È venuto a mancare quello che gli anglosassoni chiamano “peer support”: il supporto fra pari, che si verifica quando i giovani forniscono reciprocamente conoscenza, esperienza, aiuto emotivo e pratico“.

E’ possibile ricostruirsi?

Di certo i tre giovani protagonisti di questo fatto di cronaca si sono trovati di fronte alla realtà in maniera traumatica. Mi auguro che, adesso, avranno tempo per riflettere e comprendere. La speranza è che casi così emblematici possano servire da monito ad altri coetanei. La società degli adulti non deve stancarsi di comunicare e provare a aiutarli a non imboccare queste strade“.

Laura Sartini