Sono sempre state nel posto più infimo e lugubre eppure, prima di trovare una loro collocazione definitiva, hanno pellegrinato tra diversi siti, in città e anche al mare, fino a trovare una collocazione di prestigio... Le pubbliche galere o carceri, una volta, servivano soprattutto per un soggiorno temporaneo dei condannati e a chi era in attesa di una sentenza. Non c’erano le lungaggini di questi tempi e soprattutto la giustizia, spesso, si tramutava in giustizia sommaria che usava come deterrente per i recidivi o aspiranti tali, condanne esemplari.
Non c’era solo la pena di morte a spaventare i criminali, ma anche le condanne minori, dalla gogna pubblica, alle frustate, al taglio della mano per i ladri, fino al taglio della testa. Dovevano servire come deterrente, ma non riuscivano a frenare i crimini comuni. Le prime pubbliche prigioni trovarono alloggio nell’ormai dismesso anfiteatro romano. Nelle grotte buie e mal tenute, venivano rinchiusi i galeotti, il cui destino era appeso ad un filo. Quelle grotte furono ribattezzate le carceri del sasso, dalla grande pietra dell’anfiteatro, poi spostata in S.Frediano.
E quando fu deciso di lasciare quel tempio delle epiche battaglie romane, furono portate, anche se per breve tempo, all’interno dell’inespugnabile fortezza dell’Augusta, voluta da Castruccio nel centro cittadino, a difesa del suo potere. Fu una soluzione temporanea vista la durata breve dell’Augusta, distrutta a furor di popolo, finita l’epopea del grande condottiero lucchese. E quando capitavano problemi di affollamento nelle carceri, era in uso di “prestare“ tanti galeotti alla Repubblica di Genova che aveva bisogno di tante braccia muscolose per “muovere“ le sue imbarcazioni. Non era la condanna ai lavori forzati, ma quasi e su questo “traffico“ di galeotti, la Repubblica lucchese ci guadagnava pure.
Solo nel 1539 fu trovata un’altra sistemazione per le carceri trasferendole vicino al Palazzo Pubblico, in quella che poi diverrà la Piazza Grande, nell’edificio che ne ereditò il nome di Carcere del Sasso e che più o meno corrispondeva all’Istituto Passaglia di oggi. Ma anche la vicina Torre di Palazzo, divenne luogo di prigionia, nei bassifondi, in luoghi malsani e senza luce, dove furono rinchiusi i criminali più pericolosi, fintantoché la buona Elisa Baciocchi non decise di fare piazza “pulita“, “condannando“ i penitenti, ai lavori forzati a Viareggio, a bonificare le aree malsane della marina e rinchiudendoli nella Torre Matilde. Solo quando quell’esilio forzato divenne simile ad un soggiorno, per il miglioramento delle condizioni ambientali, i reclusi furono di nuovo portati in città destinando loro l’ormai dismesso convento benedettino di S.Giorgio, dal quale erano state allontanate le suore di S.Domenico.
Quel luogo di preghiera, da allora, divenne un carcere di redenzione, grazie all’intervento dell’architetto Giovanni Lazzarini che aveva trasformato le piccole celle dei religiosi, in celle di penitenti con sbarre e ferri a porte e finestre, che hanno ospitato anche personaggi illustri della storia della città.